Mentre nel Pd cresce l’allarme per i numeri e anche l’irritazione di molti per aver fatto del ddl Zan una bandiera tutta politica «prendere-o-lasciare», Italia viva rompe il fronte e prova ad aprire un varco alla trattativa. È il capogruppo al Senato Davide Faraone che ieri ha scritto a tutti i suoi omologhi di Palazzo Madama per chiedere «un tavolo politico» attorno al quale provare a trovare una «sintesi» tra le diverse posizioni, visto che «la dannosa dinamica del derby non porta da nessuna parte». Il ddl è bloccato in commissione Giustizia (presieduta dal leghista Ostellari) dal centrodestra, che non solo ha contrapposto un proprio disegno di legge a quello già approvato in prima lettura alla Camera, ma sta anche studiando un maxi-calendario di audizioni, più o meno folkloristiche, che rischiano di allungare a dismisura i tempi dell’esame. Ed è proprio con il centrodestra più «dialogante» che i renziani stanno provando a cercare una quadra che consenta l’approvazione «più ampia possibile» del testo. Che altrimenti «non passa», come denuncia da tempo Matteo Renzi (che solo grazie al compromesso e al voto di fiducia riuscì a portare a casa le Unioni civili), perché se anche approdasse in aula, con una forzatura che Pd e M5s possono ottenere, rischierebbe di essere impallinata a voto segreto. I numeri, spiegano a Palazzo Madama, sono tutt’altro che certi: la fetta di senatori usciti dal partito grillino in polemica con l’alleanza col Pd è sufficiente ad affossarla, e nel segreto dell’urna si toglierebbe con piacere la soddisfazione di mandare a sbattere Letta e Conte.
Ora il problema è tutto in casa Pd: il segretario Letta ha fatto del ddl Zan un simbolo politico, per accentuare le distinzioni politiche con la Lega nonostante la forzata convivenza in maggioranza, e dunque la linea dem è stata fin dall’inizio quella del «non si cambia nulla», niente trattative. Nonostante le pressioni anche interne che segnalavano punti deboli che potevano utilmente essere mutati, e passaggi contestati anche da parti del femminismo e da associazioni come Arcilesbica. «Si tratta di una legge che contiene norme penali, non di una mozione degli affetti: la norma penale deve essere certa», ha ad esempio più volte ricordato ai suoi Valeria Fedeli, sottolineando i rischi di lasciare troppo spazio alla discrezionalità dei magistrati. Proprio ieri, sui telefonini dei senatori dem, rimbalzavano notizie inquietanti dalla Spagna: la «Ley Trans» voluta da Podemos sull’autocertificazione di genere è stata bloccata dai socialisti, su spinta delle femministe. E lo stesso sta accadendo in Germania, con la Spd che si oppone a norme analoghe. Il Pd dunque teme di ritrovarsi isolato anche rispetto ai partiti fratelli europei nella sua battaglia identitaria sulla legge Zan.
Intanto a destra Salvini rilancia: «Sono pronto ad approvare norme più severe per chi discrimina, ma senza inventarsi bavagli, censure e processi per chi non la pensa in un certo modo», è la sfida che lancia al Pd. Gli risponde l’ex capogruppo dem Marcucci: «La Lega vuol solo perdere tempo in commissione. Eviti la melina e affronti il Senato: ci conteremo in aula». Ma, come Marcucci sa bene, i conti in aula per ora non tornano. E «senza un accordo in tempi brevissimi», sottolinea Faraone, il ddl Zan rischia di essere affossato.
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