Dimitris Papaioannou torna a Roma con Ink

“Non so cosa accadrà in futuro nel mio Paese. Non sono all’altezza per dirlo. Di certo, oggi Atene è un’esplosione di vita”. A parlare è Dimitris Papaioannou, l’artista e performer greco (ma anche regista, pittore, creatore), stella mondiale tra titoli come Nowhere, StillLife, The Great Terror oltre che curatore dell’apertura dei Giochi Olimpici di Atene nel 2004, che dopo il successo di Transverse Orientation nella scorsa stagione torna al Teatro Argentina di Roma con Ink (2020) Play for two, dal 16 al 19 febbraio. Lo spettacolo, realizzato dal Teatro di Roma con la Fondazione Musica per Roma nell’ambito del Festival Equilibrio, era stato presentato in una sua prima versione a Torinodanza nel 2020 (vincendo l’Ubu come miglior spettacolo straniero in Italia).     Ora torna in una nuova versione. “E spero non sia l’ultima”, sorride Papaioannu. “È sempre un piacere venire in Italia e a Roma – dice affabile – non solo per quello che facciamo sul palco ma anche per quello che possiamo vedere fuori”.    
Protagonista, al suo fianco, è Suka Horn, danzatore di 33 anni più giovane, in una messa in scena di forte suggestione, in cui ancora una volta Papaioannou affronta i grandi archetipi umani, in uno scroscio continuo d’acqua. “E’ proprio la differenza di età tra i due personaggi – spiega – che dà tensione al loro rapporto. Uno è sul finire della sua vita, l’altro ci sta entrando. Il giovane impara e forse cerca di uccidere il vecchio. E il vecchio da parte sua funge da ispirazione, ma forse c’è anche una certa tendenza a divorare il figlio. L’acqua, invece, è l’archetipo dell’inizio di tutto, anche se non penso a queste cose mentre creo un’opera. Per me l’acqua è la forza vitale che tutto fa, tutto trascina. Volendo pensarla in termini freudiani, si ricollega anche alla libido: un fiume che l’uomo cerca di riportare entro i suoi confini stabiliti, ma che straripa e torna a scorrere libero”. In questa versione Ink si presenta con la nuova musica originale di Kornilios Selamsis, una piccola scena aggiunta e un nuovo finale. Una lunga visione in cui si intrecciano echi delle sue passioni: il cinema fanta-horror, “e qui in particolare il primo Alien di Ridley Scott”, il nudo “che mi fa pensare al Rinascimento italiano” e il “corpo, burattinaio di se stesso”.    
C’è dentro l’amore per il cinema di Andrej Tarkovskij, “che da quando avevo 19 anni e non capivo nulla dei suoi film è entrato nel mio Olimpo personale. Anche se Fellini occupa la prima posizione. Si – confessa – amo il cinema italiano degli anni d’oro: Pasolini, Antonioni, ma soprattutto Fellini” per “la profondità, l’umorismo e per il suo guardare il mondo con gli occhi di un bambino. Quando vedo i suoi film, mi si apre il cuore. Più cresco e più mi rendo conto dell’importanza della leggerezza e dell’umorismo”. È con lo stesso ottimismo che oggi guarda il suo Paese, a sette mesi dall’uscita dalla sorveglianza rafforzata dell’Ue? “La maggior parte dei miei colleghi ha sofferto moltissimo la crisi, così come il lockdown – risponde – Oggi viviamo un momento molto caldo, con un movimento e manifestazioni per riportare al centro il valore dell’arte. Per me, invece, questi anni sono stati un po’ come reincarnarmi, rinascere. Prima potevo davvero chiedere tutto per uno spettacolo. Anche se ho sentito meno di altri la crisi, ho cercato di tornare a una fase più intima, lavorando in studio e realizzando produzioni che avessero il massimo effetto con pochissimo dispendio. Non so davvero cosa accadrà ora. Ma mi sembra che le cose stiano migliorando”. E la guerra tra Russia e Ucraina? “Io mi soffermo di più sui conflitti interiori, che tutti viviamo, inevitabili e difficili da fermare. Spererei invece che per quelli esterni fosse più facile”.


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