Mi è capitato casualmente di leggere queste considerazioni nella «Lettera sull’amore» di Vittorino Andreoli, un libretto allegato al Corriere della Sera.
Non entro in merito alle riflessioni espresse in questo breve saggio, da considerare e valutare a partire dalla propria esperienza e dai propri valori, ma mi soffermo su un pensiero che mi pare anche oggi di grande attualità.
La questione dell’amore riguarda la nostra umanità (egli dice che è la caratteristica propria dell’uomo) e per questo riguarda in particolare il cammino educativo. Già san Giovanni Bosco diceva che «“L’educazione è cosa di cuore e Dio solo ne ha le chiavi”. E il cuore per don Bosco è il cuore biblico, il luogo in cui l’uomo decide l’orientamento da dare alla sua esistenza, fortifica la sua volontà e opera scelte concrete, la prima delle quali è l’opzione fondamentale della sua vita» [https://tinyurl.com/5n6f84ms].
Ed è la questione del cuore, che non si può delegare a nessuno, e che soprattutto per i giovani è affidato in particolare alla famiglia, al babbo e alla mamma, che realizzano la propria umanità nell’amore reciproco e fecondo. E di cui devono essere custodi appassionati, decisi a non essere espropriati da nessuno. Qui non ci sono «esperti» che ne possano prendere la parte. Ce lo ha ricordato con forza il Concilio Vaticano II, nel documento sulla educazione: «I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera vivificata dall’amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società.»
Per questo penso sia utile prendere in considerazione le parole di Andreoli, «studioso del cervello e psichiatra di fama internazionale», soprattutto in questo tempo in cui sembra che, di fronte alle difficoltà della famiglia, o meglio, di alcune famiglie, nello svolgere il compito educativo, ci si debba rivolgere agli «esperti» e affidare allo stato l’educazione stessa dei giovani. E questo è tanto più grave quando si affrontano i temi decisivi per la vita dell’uomo. Penso all’obbrobrio di affidare allo Stato l’educazione affettiva e sessuale.
Non sarà riducendo gli spazi di responsabilità e di libertà che si risolvono i problemi della vita comune, ma accentuando e sostenendo coloro che ne sono i legittimi titolari. Ed è qui, anche qui, che il famoso «principio di sussidiarietà» trova il suo campo privilegiato di azione.
Prendiamo in considerazione queste parole: «Quando ci si trova in un sistema che ha un numero notevole, talora imprevedibile, di variabili, l’empirismo ha un preciso significato: innanzitutto richiede la «presenza» del padre e della madre alle esperienze del figlio, con l’ascolto e soprattutto, con lo stare insieme per «fare» insieme.
Non favorisce il mito della delega ai professionisti, agli educatori di mestiere, agli psicologi, all’assistenza sociale, affidando loro il compito di capire i problemi dei figli, con il grande rischio di entrare subito nel patologico.
La partecipazione del padre e della madre è fondamentale ed è errata la tendenza che domina il tempo presente a creare alternative al luogo familiare, fin dai primi tempi dell’infanzia con i nidi, le scuole materne, arrivando per gradi ai vari tipi di palestre dello sport, che stanno convincendo di poter «compensare» l’assenza della madre e del padre.
È il legame affettivo con loro che permette di entrare nelle difficoltà della crescita, nella fatica di crescere, che non possono certo trovare nelle formule degli «esperti» (che imperano in ogni canale televisivo) la soluzione.» (Lettera sull’amore, pp. 94-95)
Ecco, l’educazione, la cultura, le condizioni del vivere comune, sono i temi che ci interessano come uomini, e a cui la fede cristiana dà un impulso straordinario. E la questione educativa, come la convivenza civile e politica, non sono appannaggio di esperti ma responsabilità di tutti.
Mi viene sempre in mente quanto già il grande Papa Leone XIII affermava: «Quell’immortale opera di Dio misericordioso che è la Chiesa, sebbene in sé e per sua natura si proponga come scopo la salvezza delle anime e il raggiungimento della felicità celeste, pure anche nel campo delle cose terrene reca tali e tanti benefìci, quali più numerosi e maggiori non potrebbe se fosse stata istituita al precipuo e prioritario scopo di tutelare e assicurare la prosperità di questa vita terrena.» (Leone XIII, Immortale Dei). Non si può mettere il bavaglio alla Chiesa, «esperta in umanità»! e quello che suggerisce in ogni campo, sia esso religioso o civile, non è invasione (eventualmente da tollerare) ma autentico servizio al bene comune, un «valore aggiunto», si potrebbe dire.
don Gabriele Mangiarotti