Il dato di fatto è che la piccola Repubblica di San Marino, la democrazia più antica del mondo, dà il buon esempio alle grandi democrazie di oggi. Il dato politico è che, sulla legge che limita il mandato dei congressisti, 21 consiglieri hanno fatto un passo indietro, coperti dal voto segreto. Così, malgrado l’unanimità raggiunta a settembre sulle istanze d’arengo di cui la normativa recepisce il principio, e le dichiarazioni positive da parte di tutti i partiti, ieri, in seduta notturna, i voti a favore per la legge pro-rinnovamento dell’esecutivo sono stati sì la maggioranza, 36 su 58, ma non sono mancati 6 contrari e ben 15 astenuti. A dimostrazione che i timori dei cinque consiglieri proponenti, tutti militanti tra le file della maggioranza, non erano infondate.
Malgrado tutto, però, ora il Titano tiene in pugno una legge richiesta da tempo dai cittadini attraverso un’istanza referendaria poi bloccata, già nel ’97: in sostanza, chi ha ricoperto per 10 anni il ruolo di segretario di Stato, anche non consecutivi, dovrà prendersi una pausa altrettanto lunga prima di tornare a far parte dell’esecutivo. E anche se i promotori rinnegano l’etichetta di legge rottama-congressisti, si traduce di fatto in una pensata per allontanare i cosiddetti “dinosauri” della politica, chi ovvero ha detenuto le chiavi del Paese per periodi giudicati troppo lunghi.
In sostanza, con l’approvazione della legge il Consiglio grande e generale, il parlamento sammarinese, ha trovato il modo di “epurare” il governo.
Non stupisce che non a tutti andasse a genio l’idea. Proprio nell’ultima riunione dell’esecutivo pare che siano volati gli stracci contro i giovani, per età anagrafica e politica, che dal Patto hanno promosso il provvedimento: Matteo Fiorini e Andrea Zafferani di Ap, Gian Nicola e Maria Luisa Berti di Ns e l’indipendente Federico Bartoletti.
E se di fatto le dichiarazioni bipartisan in Aula poco prima del voto erano tutte una lode per la proposta, una voce si è alzata a fine dibattito per esprimere remore: quella di Luigi Mazza, capogruppo del primo partito di maggioranza, il Pdcs. Di certo il partito più “colpito” dal provvedimento. “Il progetto di legge- ha chiesto all’Aula- risponde a un’esigenza reale di rinnovamento della politica?”. E ancora: “Se qualcuno pensa che una volta approvato, si concretizzerà il rinnovamento nella politica, si sbaglia”. Perché “il rinnovamento è un problema più ampio che non si riduce al congresso di Stato”. Mazza riconosce la grande attenzione nell’opinione pubblica sulla legge, ma forse il progetto “nasce più come risposta alla crisi del modo di fare politica- conclude- che dal problema del rinnovamento, che va oltre ai 10 anni del congresso di Stato”.
Scampato anche il rischio, annunciato, di emendamenti che avrebbero snaturato il principio della legge: uno solo, poi respinto, è stato avanzato da Su per restringere ancora di più il mandato concesso ai congressisti.
A conclusione dei giochi, con l’adesione dei diversi consiglieri di minoranza e il rigetto di qualcuno dalle file del Patto, tutti rigorosamente coperti dal voto segreto, il provvedimento pro-rinnovamento è oramai legge e, alla prossima chiamata alle urne, gli stessi elettori dovranno farci i conti.
Agenzia DIRE
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