Domenica pomeriggio io e Gino siamo saliti in centro storico per fare la nostra solita passeggiata.
Dopo aver zigzagato lungo le contrade finalmente piene di gente e aver rifiatato al Cantone ci siamo diretti sul Pianello trasformato in un bosco natalizio con neve e luci a volontà.
In maniera un po’ sfacciata ci siamo seduti sotto il loggiato di Palazzo Pubblico lasciandoci sopraffare dell’atmosfera natalizia e dall’austerità della casa delle nostre istituzioni.
Dopo diversi minuti Gino, come suo solito, ha rotto il silenzio: “Certo che la sostituta di Celli, quella Guidi, poteva proprio evitarsela la dichiarazione sulla patrimoniale che serve per pagare le tredicesime degli statali. Sono dichiarazioni da irresponsabili e da leggerotti che alimentano solo l’incazzatura della gente che già è altissima. Ma come si fa, è così complicato avere una idea della realtà difficile che vive il Paese?”.
Poi Gino ha rincarato la dose:”Tutti questi dipendenti di Banca Centrale prestati al Governo in due anni han fatto solo dei gran casini. Guarda il giramondo partitico Podeschi che confusione ha alzato sulla scuola e su tutto quel che tocca e l’altro Zafferani…se ne stesse meno a fare il guardone su Facebook e verificasse invece che le sue leggi siano accompagnate dalla relazione della sua stessa maggioranza. Mi chiedo che han fatto questi signori negli anni in cui son stato seduti sulle loro comode scrivanie di Via del Voltone”.
“Sicuramente hanno avuto tempo per cambiare tanti partiti politici. Dal centro a sinistra e da sinistra al centro con disinvoltura e nonchalance” mi sono permesso di sottolineare.
“Va bon, ma sta Giustizia?” ha tuonato
Gino: “La storia che il calvo di Rete, Ciavatta, non doveva andare al Consiglio Giudiziario non l’ho affatto capita. Mica è stato condannato. Semmai la regola vale per chi lo è”.
“A Faetano poi è andata come dicevamo. Si è dimesso solo un sammarinese nonostante il voto di sfiducia verso il management della banca. Neanche il gesto di presentare le dimissioni per poi farsele ritirare è stato fatto. Che bellezza!” ha notato Gino.
Lo stesso poi si è alzato di scatto per scaldarsi sbattendo i piedi e strofinandosi le mani per incamminarsi verso casa: “Vado, è tardi. A domani”
Rientrando verso la mia abitazione ho pensato a quanto sia spesso ruvido il modo di ragionare del mio amico Gino.
Ma quella sua ruvidezza è un pregio.
In tempi dove l’arroganza della politica fa il paio con l’ignoranza essere ruvidi nelle analisi e nelle proposte è una vera manna dal cielo.
E poi Gino ha sempre ragione.