Un gruppo Facebook con oltre 200mila iscritti, attivo da quasi vent’anni, è finito al centro di un’inchiesta che scuote anche la Riviera romagnola. Il caso riguarda la pagina “Mia Moglie”, dove per anni sarebbero state diffuse immagini di donne sottratte dalla vita quotidiana e inserite in contesti sessualizzati senza alcun consenso.
Le foto rubate nella quotidianità
Secondo quanto riportato dal Resto del Carlino, a finire in rete sono stati scatti di ragazze e donne immortalate mentre facevano la spesa, passeggiavano in città o prendevano il sole in spiaggia. Fotografie catturate di nascosto o prelevate dai social, che hanno alimentato discussioni e commenti a sfondo sessuale.
La Riviera nel mirino
La vicenda tocca da vicino anche il territorio riminese. Decine di immagini sono state scattate a Rimini, Riccione, Misano e Cattolica: donne riprese di spalle, in costume o in abbigliamento sportivo, talvolta con il volto parzialmente oscurato. Non mancano foto risalenti a più di quindici anni fa, come quelle datate 2007 e 2008, e altre più recenti legate a eventi pubblici.
Il caso RiminiWellness
Particolare clamore hanno suscitato le immagini provenienti dall’ultima edizione di RiminiWellness. Le atlete, impegnate tra stand e palestre temporanee, sono finite al centro di un archivio parallelo di scatti non autorizzati, accompagnati da commenti sessisti e denigratori.
La denuncia e l’avvocata in campo
A far emergere lo scandalo è stata l’avvocata riminese Jessica Valentini, dopo la segnalazione di una personal trainer che temeva di essere tra le vittime di questo furto d’immagine. Da quella denuncia è partita una catena di verifiche che ha portato alla luce le dimensioni del fenomeno e la rete di contenuti diffusi attraverso il gruppo “Mia Moglie”.
Un fenomeno che interroga
La vicenda, che nasce in un contesto digitale ma colpisce persone reali, solleva interrogativi pesanti sul confine tra libertà online e violazione della dignità. Per le tante donne coinvolte, l’attenzione ora è rivolta alla tutela della privacy e al riconoscimento dei diritti calpestati in un sistema che per anni ha prosperato nell’ombra.