MASSIMO BOSSETTI mastica chewingum e guarda impassibile le diapositive che scorrono sulla schermo. Nell’aula dell’Assise di Bergamo entrano l’orrore e la pietà. Entra Yara, per la prima volta. Il corpo supino fra le sterpaglie del campo di Chignolo d’Isola, in parte in decomposizione, in parte scheletrico. La mano destra che stringe un ciuffetto d’erba. Il giubbotto, la felpa, la maglietta, gli slip rosa e bianchi che spuntano dal bordo dei leggings, le scarpe da ginnastica. Ciò che rimane di Yara, come viene ritrovato, per pura casualità, il pomeriggio del 26 febbraio 2011. A tre mesi esatti dalla sparizione. Il presidente, Antonella Bertoja, fa uscire il pubblico mentre vengono proiettate quelle immagini drammatiche. Le illustra Cristina Cattaneo, consulente della procura, il medico legale e antropologo forense che ha eseguito l’autopsia e ricostruito l’epilogo della vita delle ragazzina di Brembate di Sopra.
YARA non ha patito abusi. Non è stata narcotizzata. È stata colpita alla testa, dove sono rimasti tre segni, con un corpo contundente che l’ha tramortita. Inerme, ma viva, è stata ferita, seviziata con una lama affilata, forse un coltello tascabile. Una ferita al collo, da parte a parte, fino a toccare la trachea senza reciderla, una sotto la mandibola, due simmetriche ai polsi, tanto profonde che la lama ha intaccato l’osso e lasciato un piccolo deposito di titanio, una a forma di x sul dorso e una a j poco più in basso, una lesione longitudinale e molto superficiale sull’addome, due al ginocchio destro. Tutte ferite da taglio tranne quella alla mandibola che è da punta e taglio. Trovano una corrispondenza con le lacerazioni degli abiti, salvo quelle al torace e sul dorso: un particolare che fa pensare che giubbotto, felpa e t-shirt siano stati sollevati. Hanno prodotto sanguinamento e causato dolore, nessuna era letale.
COM’È MORTA la piccola Gambirasio? «Un concorso di elementi – spiega Cristina Cattaneo –. Diverse ferite, la contusione alla testa, il freddo nelle ore notturne. La vittima presentava piccole ulcere e aveva un’alterazione dei valori dell’acetone nei tessuti. Sintomi compatibili con una morte per assideramento». L’agonia si prolunga dalle sette di sera fino alla mezzanotte, non oltre «le primissime ore del mattino». Yara muore lo stesso giorno in cui scompare, il 26 novembre 2010. Nello stomaco sono stati ritrovati i resti dell’ultimo pranzo preparato da mamma Maura, consumato verso le due del pomeriggio, al ritorno da scuola: «bucce di piselli, fibre di carne, rosmarino, amidi».
Tutto avviene nel campo di Chignolo. Lì Yara viene colpita e lì, «molto probabilmente», muore e rimane. Le scarpe da ginnastica hanno pressato il terreno. Un arbusto si è insinuato in un interstizio del braccialettino di stoffa. Un’altro sotto un’unghia spezzata.
ALLA BASE delle ferite «elementi botanici da collocare in quel luogo, probabimente non trasportabili». La mano ancora da bambina che pare aggrapparsi al ciuffo d’erba non radicato nel terreno in quello che il medico legale definisce «spasmo agonico, tipico di un decesso preceduto da stress quando vengono stretti oggetti afferrati poco prima della morte, che la vittima sia cosciente o incosciente». I germogli attorno. Una foglia rimasta e conservata sotto la testa. Il corpo è stato lì «per almeno due o tre mesi», imprimendo la sua forma.
SU YARA è stata trovata una presenza «molto diffusa» di particelle di ossido di calce, materiale da ricondurre al mondo dell’edilizia da cui proviene anche l’imputato. Un centinaio di tamponi non li hanno rintracciati nell’abitazione e negli altri ambienti frequentati da Yara. «Difficile capire – dice la consulente – come questo materiale sia finito sulla pelle o fra gli indumenti e la pelle. Mi viene più facile pensare che qualcosa sporco di calce sia venuto in contatto sia con gli indumenti, sia con la pelle, sia con le lesioni».
I difensori di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, portano avanti la linea delineata da tempo. Il corpo potrebbe stato trasportato da un altro luogo, coperto, avvolto in modo da non essere contaminato? La replica di Cattaneo è tranchant: «Faccio questo lavoro da vent’anni. Ho seguito anche casi di occultamento di cadavere. Si è sempre trovata una traccia».
IL CORRIERE