Ecco come la crisi migratoria cambierà volto al nostro paese

Tra 50 anni gli immigrati di prima e seconda generazione potrebbero rappresentare il 41% della popolazione italiana

Il rapporto: “Tra cinquant’anni gli immigrati di prima e seconda generazione potrebbero rappresentare il 41% della popolazione italiana”. Così il boom demografico del Continente Nero cambia la nostra società.

Non solo guerre e conflitti. Alla base dell’attuale crisi migratoria ci sarebbe l’esplosione demografica del Continente Nero, destinata a cambiare radicalmente il volto dell’Europa e del nostro Paese.

È quanto emerge da un rapporto pubblicato dal Centro Studi Machiavelli , che si intitola “Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana”, secondo il quale, nel 2065 la popolazione immigrata, in Italia, potrebbe arrivare a rappresentare oltre il 40% della popolazione totale.

L’esplosione demografica africana alla base della crisi migratoria

L’analisi spiega, infatti, numeri alla mano, come la popolazione europea stia progressivamente diminuendo. Se nel 1950 il Vecchio Continente ospitava il 21% della popolazione mondiale, oggi questa percentuale è crollata al 9,8%, e si stima che nel 2050 solo il 7,3% della popolazione mondiale sarà europea. Nel 2050 diminuirà anche la quota di popolazione di Asia e Nord America. Un trend radicalmente opposto si registra, invece, in Africa, dove si stima che si troverà il 40% della popolazione mondiale alla fine di questo secolo. La popolazione africana, inoltre, è più giovane di quella europea, con un’età media di 19 anni nel 2015, mentre il Vecchio Continente è vecchio di nome e di fatto, con un’età media che sale a 41,6. È negli ultimi anni, inoltre, secondo il rapporto, che si registra il massimo gap sul numero di figli per donna tra Europa e Africa. Insomma, la popolazione africana è in costante aumento. Per contro, però, resta più povera rispetto a quella degli altri continenti. Il Pil pro capite negli Stati africani, infatti, nonostante i progressi in campo economico, non cresce in termini relativi e resta molto al di sotto degli standard occidentali. Un africano guadagna in media, un ventesimo di quello che guadagna un europeo e un quarantesimo dello stipendio medio di un cittadino nordamericano. Così in molti scelgono la strada dell’emigrazione che, continua il rapporto, solo nel 14% dei casi è legata a situazioni di conflitto nei Paesi d’origine. Emigrazione che nel 1960 era per il 77,1% interafricana ma che progressivamente si è spostata al di fuori del continente, con l’Europa a rappresentare la meta principale.

Il boom degli immigrati africani in Italia

“L’aumento esponenziale dell’immigrazione dall’Africa, che coinvolge spesso nazionalità non provenienti da zone di conflitto, è da mettersi in relazione con la non meno rapida crescita demografica”, spiega a ilGiornale.it Daniele Scalea, analista del Centro Studi Machiavelli, che ha curato il report. Lo scorso anno i richiedenti asilo africani in Italia rappresentavano il 71,6% sul totale dei rifugiati, ma pochissimi di loro provenivano da Paesi in guerra, come la Libia. Il 62% del totale dei richiedenti asilo nel nostro Paese proviene, piuttosto, da Stati come Nigeria, Gambia, Senegal, Eritrea, Costa d’Avorio, Mali, Guinea e Ghana, dove la popolazione cresce a ritmi serrati. I nigeriani, ad esempio, che da soli rappresentano il 22% sul totale dei richiedenti asilo in Italia, arrivano da un Paese dove, secondo le stime delle Nazioni Unite, i 182 milioni di abitanti attuali potrebbero arrivare a 800 milioni già entro il 2100.

Così l’immigrazione cambia volto al nostro Paese

L’ondata migratoria proveniente dall’Africa, quindi, secondo il rapporto potrebbe cambiare radicalmente la nostra società nel giro di un cinquantennio. Lo scenario immaginato in una recente pubblicazione dell’Istat prevede, infatti, che da qui al 2065 possano arrivare in Italia 14,4 milioni di stranieri, “che produrranno 2,5 milioni di figli addizionali nel medesimo lasso di tempo”. A questi 16,9 milioni di futuri immigrati il rapporto aggiunge, calcolandone le presumibili dimensioni in prospettiva temporale, il numero degli stranieri già presenti sul territorio nazionale e di quelli naturalizzati. Si arriva così ad un totale di 22,3 milioni di persone che nel 2065 potrebbero comporre la comunità di immigrati di prima e seconda generazione nel nostro Paese e che rappresenteranno il 41,6% degli abitanti “su un totale previsto della popolazione italiana pari a 53,7 milioni”.

“In base alle proiezioni, è ragionevole ipotizzare che nei Paesi dell’Europa Occidentale le etnie indigene perderanno la maggioranza assoluta, in molti casi già prima della fine di questo secolo”, afferma l’analista sentito da ilGiornale.it. Il quadro delineato dal rapporto per l’Italia, infatti, è simile anche nel resto d’Europa. Uno studio dell’università di Oxford ha evidenziato come nel 2056 il complesso delle etnie non britanniche, che nel 2006 rappresentavano il 13% della popolazione, arriverà al 43%.

Nel 2056, secondo la stessa ricerca citata nel rapporto, la metà dei minori sarà di origine non britannica e nel 2065 i britannici potrebbero non essere più la maggioranza assoluta nel Regno Unito. In Germania il 36% dei bambini sotto i cinque anni oggi è figlio di immigrati mentre in Francia, dove dal 1978 è proibito per legge compilare statistiche demografiche riguardanti l’etnia e la religione dei cittadini, alcuni demografi stimano che il numero degli immigrati di prima e seconda generazione sia già superiore al 20% della popolazione. Le migrazioni di massa, insomma, complice il crollo della natalità in Europa, sembrano destinate a cambiare faccia alle nostre società in meno di una generazione.

Il Giornale.it