RENZI alza improvvisamente il piede dall’acceleratore. Dopo settimane di rincorse folli con la minoranza interna, inizia a scalare la marcia: tiene il punto ma in sostanza fa capire che qualcosa verrà aggiustato. Ai toni ultimativi è subentrata una certa prudenza: la riforma costituzionale non arriverà in aula per tutto il mese di settembre. Lo farà pure per spaccare la dissidenza isolando gli irriducibili, ma anche perché si è reso conto di andare incontro a pericoli veri, che riguardano la tenuta della maggioranza. Giurano i suoi che – a dispetto di certe voci – i voti al Senato li ha, epperò è consapevole che è meglio allargare la platea, perché alcuni potrebbero venirgli meno, non solo fra i democratici. Dentro Ncd regna il caos: ufficialmente perché si chiedono modifiche all’Italicum. In realtà perché il corpaccione del partito ce l’ha a morte con Alfano e Lupi, convinto che il ministro dell’interno abbia contrattato con Renzi la ricandidatura di 15 fedelissimi, mandando al massacro tutti gli altri.
GUARDA caso, a sera viene accantonata l’ipotesi di fiducia sull’articolo 2, l’architrave del testo in esame, quello che riguarda la composizione e l’elezione del Senato, perchè non fa guadagnare voti, anzi. Qualche dubbio di identità potrebbe venire pure ai verdiniani. E allora il rischio di andare sotto per il governo sarebbe grosso. Del resto, è convinzione diffusa che – al netto del vincolo istituzionale – la vita del governo è collegata di fatto alla riforma. Stanno insieme e insieme cadono. E’ cio su che sperano i più agguerriti nella sinistra Pd, i pasdaran antirenziani sui quali pure Lotti – l’uomo che per nome e conto di Matteo ha passato ai raggi x i 320 senatori – ha oramai messo una croce sopra.
COSA accadrebbe in caso di crisi? Finora Renzi era convinto di aver in pugno i suoi detrattori con l’arma delle elezioni anticipate. In queste ore, si sta rendendo conto che lo scenario del voto rischia di essere una pistola scarica perché Mattarella è ostile a uno sbocco elettorale. Quando un capo dello Stato non collabora per sciogliere le Camera, il percorso diventa difficile. Una chimera, a quel punto, l’ipotesi di un decreto legge che imponga anche al Senato (senza riforma, resterebbe l’architettura attuale) il voto con l’Italicum per non andare alle urne con il sistema proporzionale ritagliato dall’attuale normativa del “Consultellum“, come nel piano B ipotizzato da Renzi. Lo schema principale, va da sé, prevede il ritorno alle urne con la riforma in tasca, convocando cioè i comizi elettorali per una sola Camera.
AL CONTRARIO, appare concreto il rischio che – in caso d’incidente al Senato – si formi un nuovo esecutivo, magari con spezzoni di partito che oggi gli sono fedeli ma che domani potrebbero non esserlo più. C’è chi ha già aperto le scommesse sull’ala di Franceschini, chi addirittura addirittura arriva a ipotizzare un governo Boschi solo per dimostrare che da qui al momento del voto è una lunga strada. Tutta da percorrere.
Con alcuni bivi imprevisti. Come quello – agognato dalla sinistra Pd – che il premier dopo aver ricevuto in piena faccia lo schiaffo sulle riforme ed esser caduto nell’aula di Palazzo Madama, venga rinviato dal capo dello Stato alle Camere per vedere se ha ancora una maggioranza che lo sostiene. «A quel punto, noi gli votiamo la fiducia, e si procede con un Renzi dimezzato». Ipotesi che a Palazzo Chigi come al Quirinale considerano poco realistica. Se Renzi non ha più la pistola, nemmeno la minoranza Pd può permettersi forzature quando è in gioco il futuro del Paese.
An. Co.