Al Presidente che vuole reinserire in Turchia la pena di morte non va giù la ‘pretesa’ dei magistrati bolognesi di indagare su suo figlio. Tanto da dirsi pronto persino a mettere in discussione i rapporti diplomatici con l’Italia, pur di tutelare la sua progenie. «Che si occupino della mafia in Italia, non di mio figlio», ha tuonato Recep Tayyip Erdogan, intervistato da Rainews24. Il riferimento è all’inchiesta che vede indagato Bilal, ultimogenito del leader turco, per riciclaggio di denaro, a seguito di un esposto presentato alla Procura felsinea da Murat Hakan Huzan, oppositore politico di Erdogan padre, rifugiato in Francia.
«Se mio figlio in questo momento tornasse in Italia potrebbe essere arrestato, perché c’è un’inchiesta aperta nei suoi confronti dai magistrati italiani – ha detto Erdogan di fronte alle telecamere –. Perché? Non c’è una risposta. E quando tu chiedi loro perché, non ti rispondono. Mio figlio dovrebbe tornare a Bologna per completare il dottorato. In quella città mi chiamano dittatore e fanno cortei per il Pkk. Perché non intervengono? È questo lo Stato di diritto? Questa vicenda potrebbe mettere in difficoltà persino le nostre relazioni con l’Italia. Mio figlio è un uomo brillante e viene accusato di riciclaggio di denaro».
Parole che suonano come una minaccia, ma che non hanno turbato né il premier Matteo Renzi, né i diretti interessati, ossia gli uffici di via Garibaldi a Bologna. «In Italia c’è una magistratura autonoma e indipendente che agisce secondo le leggi e che combatte tutte le forme di illegalità – è stata la replica di Renzi all’exploit turco –. I giudici rispondono alla Costituzione italiana e non al presidente turco. Chiamiamo questo sistema ‘Stato di diritto’ e ne siamo orgogliosi».
Uno stato di diritto dove, come ribadito dalla Procura, «l’inchiesta su Erdogan va avanti». Ai ‘perché’ esternati ieri dal leader turco ha infatti risposto, già due settimane fa, con i fatti, il giudice che ha prorogato le indagini preliminari, affidate alla Guardia di Finanza felsinea e coordinate dalle pm Antonella Scandellari e Manuela Cavallo. La vicenda che coinvolge Bilal, difeso dall’avvocato Giovanni Trombini, è presto detta: trasferitosi a Bologna a ottobre scorso ufficialmente per completare un dottorato alla Johns Hopkins University, a seguito dell’esposto il rampollo di casa Erdogan è stato iscritto, a febbraio, nel registro degli indagati. Nell’esposto si chiedeva ai magistrati inquirenti di compiere accertamenti su ipotetiche somme di denaro trasferite in Italia, al suo arrivo, da Bilal. Al momento gli inquirenti avrebbero eseguito uno screening sui conti correnti del figlio del leader turco e sui tabulati telefonici nel periodo di permanenza in Italia, da cui non sarebbero emersi elementi particolari.UN MESE dopo essere stato iscritto nel registro degli indagati, Bilal Erdogan faceva le valigie e lasciava Bologna. Era marzo scorso quando l’ultimogenito del leader turco scriveva il suo messaggio di saluto agli amici conosciuti sotto le Due Torri: «La nostra sicurezza a Bologna è diventata una questione molto delicata, sia per il governo italiano, sia per quello turco», recitava l’sms. Bilal Erdogan era arrivato con moglie e figlio nel capoluogo emiliano nell’autunno scorso, formalmente per frequentare un dottorato nell’università americana Johns Hopkins. La sua permanenza bolognese era apparsa da subito ‘blindata’: oltre alle guardie del corpo che si era portato da casa, ‘baby Erdogan’ aveva ottenuto anche una scorta dalle autorità italiane. Aveva preso casa in centro, a due passi da piazza Maggiore, e iscritto il figlio in una scuola privata, suscitando la preoccupazione dei genitori degli altri alunni, che avevano chiesto al questore Ignazio Coccia di aumentare i controlli nell’istituto, divenuto con l’arrivo del nuovo scolaro un obiettivo sensibile.
La notizia della presenza in città del figlio del controverso leader turco aveva in effetti agitato un po’ l’ambiente antagonista locale. Una tensione che, però, al massimo, si era espressa attraverso scritte sui muri della zona universitaria. E, tutto sommato, lo stesso Erdogan junior non ne aveva fatto subito un dramma, visto che la decisione di andarsene era maturata soltanto a marzo. L’accusa di riciclaggio di denaro, per lui, era arrivata a febbraio. Tuttavia, la voce che Bilal fosse volato in Italia «con una grossa somma di denaro» nell’ambito di un «progetto di fuga» lo aveva accompagnato fin dal primo momento in cui aveva messo piede all’aeroporto Marconi, diffusa da fonti antigovernative turche, come l’account Twitter ‘Fuat Avni’.
Da tweet, l’accusa che si era trasformata in un esposto, presentato in Procura a dicembre dall’avvocato fiorentino Massimiliano Annetta, legale dell’oppositore di Erdogan padre Murat Hakan Huzan.
La magistratura aveva quindi avviato le indagini e la cronaca fatto il suo corso.
Il Resto del Carlino