«UN INTERVENTO militare risoluto contro lo Stato Islamico ha un senso e doveva essere immediato per far capire a quei signori che chi fa le stragi paga un prezzo. Mi fa piacere che i jet francesi abbiano colpito duramente Raqqa, il messaggio è finalemente chiaro». Carlo Jean, ex generale degli alpini e oggi docente di strategia alla Luiss ha, l’abitudine di parlare fuori dai denti e in maniera non sempre politically correct. Anche stavolta non fa accezione.
Generale Jean, gli Usa stanno lavorando con la Francia per «intensificare i raid aerei in Siria e Iraq» e una prima ondata di raid è già cominciata. Sarà questa la risposta massima possibile sul piano militare dopo la strage di Parigi?
«Non credo che si andrà molto oltre. Si intensificheranno i raid, si utilizzeranno più di adesso le forze speciali sul terreno, si daranno altre armi ai curdi e agli iracheni, ma non altro. L’invio di un vero e proprio contingente di truppe di terra credo che avverrà solo se ci sarà un altro attentato. Intendiamoci, strike duri sono già qualcosa, ma servirebbe altro: l’intervento di terra».
Troppa paura di entrare in un pantano dal quale non si uscirebbe se non dopo molto tempo?
«Paura del ginepraio, certo. Ma dietro c’è mancanza di determinazione, di coraggio. E la recondita speranza che l’Isis non faccia altri attacchi in Europa. Si scommette su questo. Scommessa assai rischiosa…».
Molti analisti dicono: l’intervento militare contro un nemico come Daesh rischia di essere inefficace Si rifugerebbero nella guerriglia, specie nei centri urbani, per aver ragione della quale ci vorrebbero anni e molte perdite.
«Comunque, perderebbero la faccia. L’aura di invincibilità. La presunta profezia di Maometto che li vedrebbe come vincitori. Una volta che li fanno neri, è più difficile per loro passare per spauracchio degli infedeli e stupidaggini simili. In organizzazioni come queste il prestigio è tutto. Proprio perché stanno incassando colpi sia in Siria che in Iraq, al Baghdadi e i suoi hanno pianificato gli attacchi contro l’aereo russo, contro Hezbollah in Libano e a Parigi: perché avevano bisogno di recuperare prestigio».
Per fare un intervento militare occorre preventivamente che in Siria si trovi un accordo di pace, o almeno un cessate il fuoco?
«Renderebbe molto più facili le cose, ma dato che metà dello Stato Islamico è in Iraq, si può intervenire comunque e liberare Mosul e la provincia di al Anbar. E attraverso le zone controllate in Siria dall’Ypg curdo si può arrivare a Raqqa e Deir el Ezzor. Credo che Assad, che ha un disperato bisogno di credito in Occidente, non si metterebbe di traverso».
E la Russia?
«Magari potrebbe anche partecipare all’azione. Potrebbe servire per tranquillizzare Damasco. Ma non credo proprio che gli americani la vogliano. E non è essenziale».
Quanti uomini servirebbero per spazzare via lo Stato islamico?
«C’è chi come Luttwak dice una brigata. Ma non voglio esagerare. Diciamo che due brigate combattenti, massimo tre, con abbondante supporto aereo, basterebbero. I Daesh hanno 30-40 mila uomini e non hanno supporto aereo. Non potrebbero resistere».
L’intervento potrebbe essere fatto dalla Nato?
«È difficile mettere d’accordo tutti nelle alleanze permanenti. Credo che l’intervento, se si farà, sarà a carico di alcuni paesi».
Quanto ci vorrebbe per allestire un’operazione del genere? Due mesi? Tre mesi?
«Paesi come gli Stati Uniti hanno capacità di proiezione di potenza in tempi molto stretti. Anche dieci giorni. Una forza mista americana-europea può essere in grado di operare in venti giorni/un mese. Ma il problema non è militare, ma di volontà politica. Dovremmo? Dovremmo. Potremmo? Potremmo. Ma al di là dell’uso della parola ‘guerra’ nei discorsi alla nazione, io non vedo proprio la volontà di mettere gli scarponi sul terreno. E Daesh lo sa».
Resto del Carlino