F1, Vettel e la rossa.

VettelA RIPENSARCI, mi viene ancora il groppino in gola. Eravamo in Turchia, all’Istanbul Park, per il Gran Premio. Venerdì di prove libere, doveva essere il 2006. I regolamenti di allora permettevano ai team di secondo piano l’utilizzo, in quella sessione di test, di un pilota esordiente. E accadde una cosa strana: a bordo della sua Ferrari, il leggendario Michael Schumacher si mise, per chilometri e chilometri, in scia ad una Bmw. Era un atteggiamento insolito, da parte del sette volte iridato. Così, andammo a chiedergli spiegazioni. Lui rispose con un sorriso: «Beh, mi interessava verificare come guida il ragazzino, l’ho visto crescere nei kart, tenetelo d’occhio, andrà lontano».
IL «RAGAZZINO» si chiamava Seb Vettel e adesso nemmeno sarebbe il caso di attribuire allo sfortunato Schumi le virtù sciamaniche di un profeta. Più banalmente, tra fuoriclasse ci si annusa: e l’uomo che aveva realizzato i sogni di milioni di fans del Cavallino aveva capito. In anticipo sul resto del mondo.
Oggi Vettel viene considerato, un po’ da tutti, il vero erede di Schumi. Non solo per il passaporto tedesco in comune. Non solo per un palmares che segnala, all’attivo, quattro titoli mondiali. Non solo perché sul bagnato, come il Maestro di Kerpen, il pupillo è un autentico demonio: mica per niente si aggiudicò, sotto l’acqua, il Gran Premio d’Italia a Monza, con la Toro Rosso!, nel 2008.
No. In un gioco di rimandi e suggestioni, c’è di più. Molto di più. Vettel è stato bambino quando Michael faceva innamorare l’Italia. Vettel aveva il poster dell’eroe in camera da letto. Vettel, anche quando dominava al volante della Red Bull, non ha mai nascosto la sua passione per il Rosso da Formula Uno. Puntualmente, quando le circostanze si sono sistemate in fila nel modo giusto, è sbarcato a Maranello.
Poche settimane e già era un idolo. Seb ha trionfato con la Ferrari alla seconda corsa, in Malesia. Poi si è ripetuto in Ungheria e nella notte di Singapore.
HA IMPUGNATO la bandiera del Cavallino, estraendola dalle macerie della infelice epoca Alonso (infelice non per demerito dell’asso spagnolo, ma certo un’era da dimenticare, per delusioni e atteggiamenti). In fretta, questo «secondo» tedesco ha restituito l’orgoglio a un popolo in gramaglie. Non poteva immaginare di battere le Mercedes nella corsa al trono e infatti lo scettro è saldamente rimasto nelle mani di Lewis Hamilton. Ma oggi, a un passo dal 2016, non c’è supporter della Rossa che non stia preparandosi per il Grande Sorpasso.
Ci riuscirà? Ah, saperlo. A fine marzo, all’Albert Park di Melbourne, la Formula Uno riaccenderà i motori. Lì, come ha detto il presidente Marchionne, conosceremo la verità. Di sicuro non sarà semplice e appunto Marchionne ha sbagliato, facciamo per eccesso di entusiasmo, nel definire decisiva la tappa inaugurale della stagione: un ragionamento balordo, se si pensa che di Gran Premi nel 2016 ne sono previsti addirittura ventuno…
Ciò che conta, comunque, è che l’operazione-Vettel, fin qui magistralmente gestita dal capo del reparto corse Maurizio Arrivabene, si sia rivelata geniale. In termini di immagine e di risultati, sul piano della contaminazione emotiva e sul terreno delle incoraggianti prospettive.
Seb forse non eguaglierà mai i record di Schumi. Ma, dall’Australia del 2016 in avanti, è l’unico ad avere il diritto di provarci. E di crederci.

Resto del Carlino