Favino, io un poliziotto che non arriva a fine mese

BERLINO – “C’è ancora libertà creativa di fotografare la realtà per quella che è. L’ULTIMA NOTTE DI AMORE racconta appunto una vicenda in cui non c’entra per nulla la politica, ma rivela una cosa che alla fine sanno tutti, ovvero che molti poliziotti non arrivano a fine mese e spesso sono costretti a fare il doppio lavoro”. Così a Berlino Pierfrancesco Favino parla del suo personaggio nel film di Andrea Di Stefano (The Informer) passato oggi a Berlinale Special Gala e in sala dal 9 marzo con Vision.
    Un thriller serrato in una Milano noir, molto americana, che si svolge nell’arco di sole 24 ore tra pistole, diamanti e mafia cinese.
    Una produzione Indiana Production, Memo Films, Adler Entertainment e Vision Distribution che racconta di Franco Amore (Favino), poliziotto buono e amato da tutti ormai a un passo della pensione. Per lui, come sottolinea il titolo, un’ultima notte da vivere con gli amici in una festa a sorpresa organizzata nel suo appartamento dal grande amore della sua vita, Viviana (una straordinaria Linda Caridi). Ora anche se Amore è un poliziotto che si vanta come in trentacinque anni di carriera non abbia mai sparato a un uomo, una cosa che evidenzierà nel suo discorso d’addio ai colleghi, proprio all’ultimo commette una leggerezza. E lo fa con la persona più sbagliata possibile, ovvero con un boss della mafia cinese. Lui è convinto che il suo contributo sia sempre nei confini della legalità tanto da coinvolgere un amico-collega, Dino (Francesco Di Leva), ma il gioco si rivelerà troppo grosso e scoppierà l’inferno sulle strade di Milano. Nel cast anche Antonio Gerardi, Katia Mironova e Carlo Gallo.
    Quanto conta l’onestà per Favino? “Per quello che mi riguarda la mia non è stata troppo messa a dura prova perché le persone hanno capito chi sono. Sono uno che va sul set solo dopo aver fatto il suo dovere, un patto questo non scritto, ma che ho fatto con me stesso”.
    Dopo aver interpretato tanti personaggi famosi come Craxi e Buscetta cosa si prova nell’interpretare un uomo comune? “Non mi penso mai a compartimenti stagni. Mi attivo quando arriva la storia che mi appassiona e sono felice di rappresentare il pubblico. Ora è possibile che un Franco Amore sia in sala , più difficile che capiti a vedermi un Bettino Craxi”.
    L’attore si sofferma sul mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore cineaudivisivo e dunque sul rapporto tra i lavoratori e i produttori, ma il vero problema dice poi è “che siamo l’unico paese al mondo in cui i ruoli di italiani vengono recitati da attori stranieri. Sembra che si abbia molta paura di fare il contrario. Non vedo perché quando si viene a girare con il 40% di tax credit in Italia i ruoli di italiani vengano fatti da americani e non da nostri attori. In momento in cui si parla tanto di inclusività noi siamo l’eccezione. A me non mi farebbero mai fare Kennedy non vedo purché c’è chi viene qui a fare gli italiani”. 
   


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