Ferrara. La fuga dei visoni verso la libertà, ma rischiano di morire subito

visoniDA UN BUCO nella rete la via verso la libertà. Potrebbe essere stato un blitz di qualche militante animalista o forse un maldestro tentativo di furto quello che l’altra notte ha aperto la strada delle campagne della Bonifica Ferrarese a circa 500 visoni di proprietà dell’allevamento ‘Giacometti Ranch Wild’ di Jolanda di Savoia. Gli animali non si sono lasciati sfuggire l’occasione e in pochi minuti si sono dispersi in mezzo ai campi. Blitz organizzato o azione fortuita, la fuga dei cinquecento visoni (sui circa quattromila che si trovavano all’interno dell’allevamento) ha fatto esultare le associazioni animaliste del territorio e non solo. «Cinquecento visoni detenuti a Jolanda di Savoia hanno trovato la libertà – scrive l’organizzazione ferrarese Animal Defenders sul proprio profilo Facebook –. Animali liberi». Ad accorgersi di quanto era accaduto sono stati, ieri mattina, i titolari dell’allevamento. Arrivando in azienda hanno trovato parte della recinzione divelta e alcune centinaia di visioni che mancavano all’appello. È partita così la chiamata al 112. Delle indagini si stanno occupando i carabinieri della compagnia di Copparo, che per prima cosa cercheranno di accertare la matrice di quanto accaduto nell’allevamento di via Bonaglia.

TUTTI gli elementi finora raccolti depongono però per l’ipotesi del blitz animalista. Non è infatti la prima volta che l’allevamento ferrarese è bersaglio di attacchi da parte dei militanti per i diritti degli animali. L’ultimo episodio si era verificato nel 2011, con una imponente manifestazione proprio davanti ai cancelli dell’azienda jolandina. Fatti che erano sfociati anche in un procedimento giudiziario che ha avuto come protagonista l’organizzatore del presidio (alla fine assolto dall’accusa di manifestazione non autorizzata). Quello di Jolanda è soltanto uno dei cinque allevamenti di visoni attivi in Emilia Romagna. Gli altri, stando ai dati resi noti da alcune associazioni animaliste, sono a Galeata, nel Forlivese, (con circa diecimila esemplari) a San Marco, nel Ravennate (2.500 esemplari), a Fossoli, nel Modenese (quattromila esemplari) ed a Noceto, in provincia di Parma (anche qui quattromila esemplari). Si tratta di aziende che spesso finiscono nel mirino dei gruppi animalisti, che accusano gli allevatori di uccidere il piccolo mammifero (del quale occorrono «circa 80 esemplari per confezionare una pelliccia completa») in modo «barbaro», utilizzando «delle piccole camere a gas in cui vengono rinchiusi anche a dieci alla volta». Insinuazioni sempre respinte dagli allevatori che assicurano come la morte con questa tecnica sia «completamente indolore». In realtà, come spiega il comandante della polizia provinciale Claudio Castagnoli, questo tipo di azioni ‘di liberazione’ non garantisce in alcun modo la salvezza agli animali. «Sono abituati a vivere in cattività – ha spiegato – e rischiano di finire investiti dalle auto. È importante recuperarli nelle prime ore, quando sono ancora confusi. Col passare del tempo però si ambientano, e il rischio è di non riuscire più a ritrovarli, con conseguenze negative sull’ecosistema del territorio».