Fibrillazioni in vista del Colle: Iv vota ancora con Fi e Lega

Il segnale è circoscritto, e di scarsa rilevanza per il governo. Ma torna ad avvelenare il clima nella maggioranza, e fa riemergere quel rischio di «coalizioni variabili» che spaventa in vista del voto per il Colle.

Il fatto è questo: la commissione Affari costituzionali della Camera esamina la pdl sulle lobby, e ieri la maggioranza di governo si è spaccata sul divieto per i membri di governi nazionali o regionali di iscriversi al registro dei «portatori di interessi» per un anno dopo la fine del proprio mandato. Ma il centrodestra e i renziani hanno contestato la norma, su cui – secondo il presidente grillino della commissione Giuseppe Brescia – si è venuti meno ad un accordo già raggiunto: «È inaccettabile che in conferenza dei capigruppo si dia l’assenso a portare il testo in aula salvo poi mettersi di traverso in commissione. Serve lealtà nei partiti di maggioranza». E il dito nella piaga lo mette il dem Stefano Ceccanti: «Il problema non è più di merito, Italia viva vuol far pesare i propri voti in vista delle elezioni per il Quirinale».

Sempre lì si va a parare: qualunque mossa politica e parlamentare viene ormai letta in chiave di posizionamento rispetto alla battaglia per il Colle, su cui regna ancora la nebbia più fitta. Il tutto nel bel mezzo della trattativa sulla manovra, con i partiti di maggioranza in crisi priapica che rovesciano centinaia di emendamenti sul testo del governo per far vedere che contano qualcosa. Ieri, dopo gli incontri di Mario Draghi con 5 Stelle, Lega e Fi, è stato il turno della delegazione Pd, salita a Palazzo Chigi nella formazione prescritta dal premier: niente leader o stati maggiori di partito, ma capigruppo parlamentari (che gestiranno la finanziaria in aula) e capi-delegazione ministeriali, che hanno ovviamente più chiari e più a cuore gli obiettivi del governo, oltre le ansie di visibilità delle forze politiche.

Il Pd «partito» (e anche gli altri) non hanno preso benissimo questa decisione del premier, e hanno fatto partire una raffica di critiche al ministro dell’Economia Franco, che sono un parlare a nuora perché suocera intenda. Il Pd, in particolare, si è scatenato con il suo vicesegretario Provenzano a difesa dei mal di pancia sindacali e contro il «metodo» usato da Franco, che – accusa Provenzano facendosi portavoce della Cgil – «non ha fatto vedere le tabelle».

È dunque di rilievo che a tacitare Provenzano (e Landini) sia intervenuto, dopo il colloquio con il premier, il capodem Andrea Orlando: «C’è una volontà chiara di Draghi e del ministro a proseguire il confronto con i sindacati», ha detto, dopo aver ricordato che il confronto aperto da Draghi «è un altro metodo» rispetto alla richiesta di «tavolo» fatta da Letta, ma «ha la stessa finalità di arrivare a un minimo comun denominatore». Il governo offre un miliardo in più contro il caro-bollette, e il Pd (come la Lega) applaude. E Letta si aggiunge al coro di chi chiede a Draghi di restare al governo fino al 2023.

Ma l’orizzonte Quirinale resta nebbioso: «Per il Colle bisogna dialogare con il centrodestra», ma «non sul candidato Berlusconi», dice Conte, assicurando ai suoi che prima del 2023 non si deve votare. E Letta torna ad auspicare «un accordo largo». Ma c’è il rischio che da quello che Stefano Folli definisce il fragile «equilibrio dell’impotenza» dei partiti, e del centrosinistra in particolare, si possa riaffacciare la tentazione del voto.


Fonte originale: Leggi ora la fonte