“I compromessi non risolvono le emergenze. Le procrastinano, aggravandole”, sosteneva -saggiamente- Roberto Gervaso. Una frase, questa, divenuta celebre che, oggi, a due anni dalla sua scomparsa, suona come un monito per il mondo, alle prese con una instabilità economica mai vissuta, conseguenza di una guerra nel cuore dell’Europa. A sua volta conseguenza di una serie di compromessi di facciata che, dal 2014, non sono stati in grado di risolvere la “guerra” fra ucraini di Kiev e ucraini, di lingua e cultura russa, del sud dello stesso paese; né la questione Crimea.
Un contesto economico, quello europeo, che rischia di rivelarsi “letale” per le sue economie più deboli, prima fra tutte quella italiana e, di riflesso, ma non solo di riflesso a causa dell’indebitamento in cui versa, quella sammarinese.
San Marino deve ritagliarsi precise nicchie nel mercato. L’alternativa è, altrimenti, non oggi ma neppure chissà quando, il crack economico e la conseguente, nei fatti, perdita di sovranità e autonomia.
Pessimismo? Catastrofismo… Non mi dispiacerebbe essere in errore, credetemi. Sarei anzi felice di sbagliare analisi. Ma tutto, oggi, lascia purtroppo intendere che questa sia più che fondata e realistica.
Se la situazione economica non era rosea neppure negli anni pre-covid, la pandemia prima e il caro energia oggi l’hanno resa, in prospettiva futura, addirittura drammatica, perchè il modello San Marino attuale non può reggere questa ennesima crisi così come è oggi.
Ma ogni crisi, se non erro lo sosteneva anche Albert Einstein, incarna in sé delle nuove opportunità. Quella che oggi si prospetta per San Marino è rappresentata dalla carenza e dall’alto prezzo dell’energia. Specie se unita alla cronica carenza italiana legata allo smaltimento dei rifiuti. Sì, avete capito bene… L’opportunità più semplice da perseguire, e dai risultati certi, è il termovalorizzatore.
Questo, da solo, potrebbe soddisfare l’intera richiesta interna di energia elettrica, stimata in poco meno di 300 milioni di MegaWatt/ora, e creare un importante “surplus” che potrebbe venire esportato creando un non certo trascurabile introito economico o utilizzato per creare, in Repubblica, una sorta di “paradiso” per le industrie energivore italiane, che stanno guardando con sempre più attenzione i paesi del nord-Africa per delocalizzare le loro produzioni, ormai insostenibili visto il costo in Italia dell’energia.
In pratica, il termovalorizzatore appare oggi come uno dei pochi investimenti a rischio zero: nessun costo di materia prima il cui approvvigionamento, anzi, determina un primo guadagno (per smaltire rifiuti si paga) o un forte risparmio sugli attuali costi dello smaltimento interno; il rifiuto, poi, diventa combustibile per -semplifico- alimentare le turbine che generano energia, la quale determina un secondo gettito economico per l’azienda. Il business perfetto.
Ma, c’è da giurarci, non si farà… L’integralismo “green” al solo sentore del termine termovalorizzatore scenderà sul piede di guerra con slogan capaci di far breccia su gran parte dell’opinione pubblica, qualche irresponsabile partito politico cavalcherà la strumentalizzazione e nessun governo avrà le “pal…”, il coraggio di andare avanti su un progetto che, vista la grande evoluzione tecnologica, è oggi quanto mai “pulito” e sicuro, ma occasione ghiotta per ogni populismo e strumentalizzazione politica, specie in una piccola comunità come è quella sammarinese.
Ma proviamo a fare due conti, ricordando che l’inquinamento generato da un termovalorizzatore di ultima generazione è irrisorio e i tempi di realizzazione sono oggi molto più brevi di un tempo. Prendiamo ad esempio il termovalorizzatore di Acerra, uno dei più grandi di Europa. Seppure sia ormai tecnologicamente obsoleto, produce 600 milioni di kw/h di energia elettrica ogni anno, smaltendo 600mila tonnellate di rifiuti. In pratica ogni tonnellata di rifiuti, genera 1.000 Kw/h, ovvero un megawatt/h.
Un nuovo impianto avrebbe una resa di almeno il 30% superiore, oltre ad un impatto sull’ambiente ancora minore, rispetto questo preso ad esempio e non sarebbe quindi difficile, con il solo termovalorizzatore, soddisfare il fabbisogno interno del Titano e creare una riserva capace di rendere il Titano appetibile per alcune industrie italiane, o europee, la cui sopravvivenza è messa oggi a dura prova dal caro energia.
Ma, cari sammarinesi, statene certi: non se ne farà nulla, a meno che la proposta non arrivi dagli stessi cittadini…
Enrico Lazzari
