Mentre il fragore delle operazioni militari riecheggia nei vicoli affollati, il Medio Oriente si ritrova nuovamente al centro di una spirale di tensioni che non accenna a placarsi. Oggi, con l’esercito israeliano che penetra sempre più in profondità nei quartieri centrali di Gaza City, e una serie di sviluppi che spaziano da intercettazioni missilistiche a proteste roventi, il panorama del conflitto assume contorni sempre più drammatici, coinvolgendo terre contese e vite sospese.
Le forze israeliane hanno intensificato la loro spinta verso il nucleo urbano di Gaza City, raggiungendo il popoloso quartiere di Sheikh Radwan con soldati e mezzi corazzati, come riportato da fonti internazionali. Negli ultimi tempi, l’avanzata ha lambito le periferie esterne, arrivando a pochi chilometri dal centro, malgrado gli inviti globali a interrompere l’offensiva. I residenti locali hanno descritto scene di distruzione, con abitazioni e tende di sfollati rase al suolo dopo quasi due anni di ostilità.
Parallelamente, in Cisgiordania, l’Amministrazione civile del ministero della Difesa israeliano ha classificato come ‘terra statale’ 456 dunam, equivalenti a 45 ettari, adiacenti all’avamposto non autorizzato di Havat Gilad nel nord del territorio. Questo terreno, precedentemente legato alle amministrazioni dei villaggi palestinesi di Jit, Tell e Fara’ata – pur non essendo proprietà privata – diventa ora disponibile per espansioni di insediamenti e infrastrutture. Chi rivendica diritti privati ha 45 giorni per appellarsi.
Sul fronte delle minacce esterne, le difese aeree israeliane hanno neutralizzato un missile balistico lanciato dagli Houthi dallo Yemen, segnando il primo allarme sirene a Tel Aviv e in aree centrali dopo l’attacco israeliano a Sanaa che ha eliminato il premier Houthi e vari ministri. Negli ultimi giorni, proiettili e droni yemeniti sono stati intercettati prima di varcare i confini. L’episodio ha causato una breve sospensione di atterraggi e decolli all’aeroporto Ben Gurion, ritardando un volo Wizz Air da Budapest, senza registrare feriti secondo i servizi di emergenza.
Nel frattempo, l’IDF e lo Shin Bet hanno confermato l’eliminazione di Sabach Salim Sabach Daia, figura di spicco della Jihad islamica palestinese a Gaza, accusato di aver orchestrato il rapimento di Shiri, Ariel e Kfir Bibas, successivamente uccisi nella Striscia da militanti. Nominato di recente al vertice dopo l’eliminazione di tre predecessori in raid israeliani, Daia era implicato nel reclutamento di operativi in Cisgiordania e Israele, promuovendo attacchi. La sua organizzazione ha giocato un ruolo chiave nel massacro del 7 ottobre, partecipando a uccisioni e sequestri sfruttando le strategie di Hamas, pur senza contribuire alla pianificazione.
A Gerusalemme, la “Giornata di disordini” per esigere il rilascio degli ostaggi e la cessazione immediata delle ostilità ha preso il via all’alba, con manifestanti che hanno dato fuoco a cassonetti e pneumatici attorno alla residenza del premier Benyamin Netanyahu, formando un simbolico “anello di fuoco” a soli 100 metri dalla sua abitazione ufficiale. Guidate da Anat Engerst, madre del rapito Matan, e Vicky Cohen, madre di Nimrod, le proteste sono partite spontaneamente alle 6:30 locali e si sono estese alla Knesset verso mezzogiorno. La polizia ha riportato danni a veicoli nei quartieri di Rehavia e Givat Ram, con evacuazioni temporanee ma senza feriti, mentre i vigili del fuoco intervenivano. Altrove, attivisti del gruppo “Fratelli e Sorelle in Armi” si sono radunati davanti alla casa del ministro Ron Dermer, accusandolo di fallimenti nei negoziati e di aver ceduto all’estrema destra, sabotando una proposta di tregua accettata da Hamas. Alcuni si sono barricati nella Biblioteca nazionale, salendo sul tetto, con la polizia in trattative per una risoluzione pacifica, mentre le azioni si propagano verso il parlamento.
In questo mosaico di conflitti intrecciati, dove ogni mossa riecheggia oltre i confini, il Medio Oriente attende un barlume di tregua, con popolazioni intrappolate tra avanzate militari e appelli disperati per la pace.