“Già fatto un esame e ora ne farò un altro. È la nostra guerra”

«Noi stiamo per andare in guerra». Emilia, «giovane» maestra elementare di cinquant’anni è al secondo test sierologico. «Ne ho già fatto uno tempo fa, adesso ne farò un altro, prima di rivedere i miei alunni. Ma sono pronta a ricominciare la scuola, anche se tutte quelle ore in classe, con la mensa di mezzo e gli intervalli, non mi fanno dormire la notte». Per Emilia, entrare a scuola è come andare al fronte per combattere un nemico invisibile. «Abbiamo solo sostituito l’elmetto con la mascherina. Spero però sia resa obbligatoria in classe almeno per gli studenti di quarta e quinta, altrimenti si rischiano troppi contagi nelle classi. E se dovessero chiudere la scuola per un focolaio sarebbe un disastro. I ragazzi non sono dei pacchi postali». Emilia, come molti docenti, non si sente tranquilla. «Non è una colpa avere paura. Io ne ho, quando penso al mio amico medico di sessant’anni morto di Covid, ma sono anche una fatalista. Non ho figli né marito e ho messo in sicurezza i miei genitori anziani. Non li vedrò dopo l’inizio della scuola, così non dovrò preoccuparmi di infettarli. Spero non abbiano bisogno di me. Però ci sono tante colleghe che vivono con i genitori anziani o hanno famiglia. Insomma, è un girone infernale questo Covid. Servirebbe più prevenzione anche per i più piccoli». Emilia respinge al mittente le critiche sugli insegnanti. «È una grande montatura. Non siamo dei fannulloni come molti hanno scritto. Solo realisti e pretendiamo rispetto e certezze».



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