Gianni Celli davanti al Giudice sceglie di fare scena muta

celli«Ho perso la voce» sussurra ironico Gianni Celli ai cronisti all’uscita dal tribunale. Nonostante si trovi confinato agli arresti domiciliari, l’imprenditore di Verucchio sembra non avere perso il suo spirito indomito, se ne va salutando con il segno della benedizione, accompagnato dal suo difensore, Alessandro Catrani, dopo nemmeno dieci minuti di colloquio con il giudice per le indagini preliminari, Fiorella Casadei. Il tempo di avvalersi della facoltà di non rispondere. Intanto, si scopre che una delle altre due persone indagate nell’inchiesta sull’ex editore de ‘La Voce’ è l’attuale direttore del quotidiano, Raimondo Baldoni.
Davanti al gip riminese, Celli, 72 anni, ha quindi scelto il silenzio, in attesa di avere il quadro generale dell’inchiesta che lo vede protagonista e che, avrebbe detto al giudice, l’ha molto scosso. Ma anche di sapere cosa deciderà il Tribunale della Libertà, a cui il difensore farà ricorso entro il fine settimana. «Il dottor Celli – dice l’avvocato Catrani – intende ribadire in maniera assoluta di non avere mai distratto denari dalle società a vantaggio suo o dei suoi familiari. Oggetto dell’indagine, dell’ordinanza di custodia cautelare e del ricorso che stiamo predisponendo insieme al consulente tecnico di parte, dottor Mario Ferri, rimane la complessa gestione societaria degli ultimi anni da parte dell’indagato, oltre all’esatta disciplina dei contributi del governo per l’editoria, anche sotto il profilo della loro corretta appostazione a bilancio».
Le accuse che hanno fatto scattare l’arresto, sono quelle di bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e malversazione ai danni dello Stato. L’indagine del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, ruota intorno al fallimento del quotidiano, avvenuto nel luglio del 2015. Secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, Celli avrebbe dirottato almeno 4 dei 20 milioni di contributi pubblici per l’editoria in società immobiliari riconducibili a lui. «Attraverso i finanziamenti infragruppo –stigmatizza il gip nell’ordinanza – a favore di società di cui aveva piena consapevolezza del grave stato di difficoltà economica, distraeva il patrimonio della società Editrice La Voce, sottraendo così definitivamente le garanzie ai creditori sociali». Per mascherare poi lo stato di dissesto ormai inevitabile, l’imprenditore verucchiese avrebbe falsificato i bilanci della società. Nove milioni di euro è il passivo quantificato dalle Fiamme Gialle che hanno fatto scattare i sigilli sulle proprietà dell’imprenditore: 24 immobili, inclusa la casa in cui vive. L’inchiesta però sembra ancora lontana dalla sua conclusione. Il Resto del Carlino