Gianni Toffali sulla Chiesa di Oggi

Il caso don Seppia è solo la punta dell’iceberg di ben più vaste problematiche che toccano la chiesa cattolica. Qualunque fedele praticante (i non praticanti non sono né fedeli, né cattolici) avrà fatto caso che a partire dalla conclusione del Concilio Vaticano II, la chiesa e molti preti (non tutti ovviamente) hanno iniziato una sorta di doppia mutazione: antropologica e teologica.  Dalla comunione in bocca alla comunione sulla mano, dai canti gregoriani alle suonate per chitarra, dalle adorazioni eucaristiche agli show canori e teatrali (dentro le chiese), dai crocifissi alle bandiere della pace, dalle citazioni del magistero alle predicozze generaliste, buoniste e pacifiste, dal catechismo ai richiami sociologici, dalla carità alla filantropia, dal trascendente all’immanente, dai rosari alle filippiche politiche, dalla tonaca agli abiti civili, dalla sobrietà alle esibizioni televisive, dal curato d’Ars al don Seppia e dulcis in fundo: dalla castità alla “mondanità”. Il Concilio, teoricamente, avrebbe dovuto far fermentare il lievito cristiano all’interno delle realtà laiche. In realtà, a giudicare dagli innumerevoli scandali che hanno toccato non pochi sacerdoti, la sensazione è che per un’infausta eterogenesi dei fini, sia accaduto esattamente il contrario: il lievito cristiano è rimasto lettera morta, mentre quello laico, o meglio laicista, ha attecchito con profitto. Con questa interpretazione, è possibile spiegare la fame di mondo (quindi di sesso, potere, notorietà, prestigio e carriera) che ha “contagiato” una buona parte di chiesa. E’ vero, papa Ratzinger attraverso emanazioni particolari come il motu proprio Summorum Pontificum ed altri documenti ufficiali sta tentando di arginare le derive liturgiche e le tracimazioni moderniste che stanno “scandalizzando” la comunità cattolica e laica, ma ciò potrebbe non bastare. Se i vescovi, cioè i pastori delle chiese locali, non avranno il coraggio di ridurre allo stato laicale (un tempo si diceva scomunicare) quei preti che per superbia (il primo dei sette vizi capitali), snobismo, esibizionismo e vana gloria predicano cose altre rispetto al magistero, la cattolicità continuerà a partorire “pretuncoli” tiepidi, senza fede e dalla doppia vita. Nelle fattispecie di Genova, può spiegare il Card Bagnasco che differenza passa tra un don Seppia pedofilo e drogato e un don Gallo che predica il comunismo, auspica l’eutanasia e difende i “diritti” dei sodomiti? Recano più danno alla comunità, i peccati individuali (come la pratica della pedofilia) o le eresie proferite dai pulpiti e dai salotti televisivi?

Gianni Toffali   Verona