Aveva scelto Ginevra perché era un ambiente stimolante. Poteva perfezionare l’inglese scientifico e il francese parlato fuori, sviluppare le sue ricerche sulle cellule tumorali dopo la laurea in Biotecnologiche all’università di Torino. Aveva 29 anni, un appartamento piccolo e grazioso e un lavoro impegnativo come piaceva a lei, da «topo di laboratorio». Aveva obiettivi importanti e la soddisfazione di centrarli tutti. Come i due concorsi vinti che l’avevano messa davanti a un bivio fatale: Ginevra o Madrid. Nella città sul lago Lemano Valentina Tarallo è stata ammazzata lunedì sera a colpi di spranga all’uscita dall’università. Brutale come una rapina, come il colpo sgangherato di un balordo. E invece, anche se le autorità svizzere mantengono il più stretto riserbo, il quotidiano
Tribune de Geneve lascia trapelare che quella prima ipotesi non regge.
A uccidere Valentina potrebbe essere stato un uomo che conosceva, qualcuno che aveva aiutato nella sua attività di volontariato o addirittura un persona con cui aveva avuto una relazione. Senegalese, alto 1 metro e 90, 36 anni, già noto alle forze dell’ordine per altre aggressioni e forse in fuga in Italia. Secondo il racconto di alcuni ragazzi italiani, durante uno dei viaggi collettivi in auto per raggiungere Torino la ragazza avrebbe detto loro di aver frequentato un ragazzo africano e di avere interrotto la relazione a causa delle differenze culturali e dell’eccessiva gelosia di quest’ultimo. Un altro tassello che avvalorerebbe la pista alternativa alla rapina. Sul luogo del delitto sono stati ritrovati lo zainetto e il portafogli, mentre l’arma è spuntata in un cantiere vicino alla casa della giovane, dove una vicina riferisce di avere sentito suonare con insistenza il campanello poche ore prima dell’agguato mortale.