Il terzo ed ultimo caso in appello nella giornata di mercoledì 23 aprile è stato quello di Giovanna D’Arpino, imputata per una articolata vicenda di riciclaggio, connessa all’adesione – ritenuta irregolare dall’accusa – allo scudo fiscale TER italiano. L’imputata, difesa dagli avvocati Belloni e Dell’Arco, è accusata di aver occultato e successivamente tentato di regolarizzare circa due milioni di euro, per la precisione 2.210.000 euro, sottratti – secondo l’accusa – a società del gruppo Mattucci, in concorso con Umberto Guerini, figura chiave dell’operazione, presidente della Sofisa S.A., oggi Sidi Finanziaria S.p.A., e titolare della collegata Sofisa UK.
Secondo la ricostruzione accusatoria, i fondi furono trasferiti in una rete di mandati fiduciari e conti cifrati tra San Marino, Londra e Madeira, transitando per istituti come Eurocommercial Bank (ECB), Banca CIS e Barclays Londra. Parte dei fondi (2,06 milioni) venne vincolata a garanzia di un finanziamento concesso alla Sofisa UK, e successivamente reinvestita. L’origine dei contanti, stoccati in una cassetta di sicurezza e poi “svelati” in presenza di notaio nel febbraio 2010, è al centro del dibattito. Guerini e D’Arpino, nel tentativo di dimostrarne la preesistenza rispetto alla scadenza dello scudo fiscale, presentarono due plichi sigillati datati ottobre 2008. All’interno: 4.400 banconote da 500 euro, pari a 2,2 milioni.
In primo grado, la 76enne Giovanna D’Arpino fu condannata a 4 anni e 2 mesi di prigionia, con multa di 3.000 euro, interdizione temporanea dai diritti civili e confisca integrale della somma. Ora, in appello, la difesa punta dritta all’assoluzione o, in subordine, a una riduzione della pena e alla revoca della confisca.
Nel frattempo, il reato si è prescritto: lo ha riconosciuto anche la stessa Procura Fiscale, rappresentata in aula dall’avvocato Giorgia Ugolini, che ha però insistito sulla validità della confisca, considerandola “misura preventiva e non sanzione penale”. La tesi: l’origine illecita dei fondi è stata accertata, indipendentemente dalla prescrizione del reato.
Il collegio difensivo ha ribattuto con veemenza. “Non c’è alcun reato diverso da quelli tributari, già regolarizzati con lo scudo fiscale TER”, ha ribadito l’avvocato Dell’Arco, lamentando una “mancanza di giustizia fiscale” e denunciando un “accanimento per trattenere la somma”. Secondo la difesa, l’adesione allo scudo fu pienamente valida, sia sotto il profilo temporale (le somme erano in cassetta dal 2008) che documentale (fu prodotto anche un verbale notarile). Non ci sarebbe quindi, a loro dire, alcuna condotta dissimulatoria post-scudo che possa configurare autoriciclaggio, introdotto nell’ordinamento sammarinese solo nel 2013. L’avvocato Dell’Arco, difesa D’Arpino, ha parlato di “un’unica operazione” effettuata nel dicembre 2014, cioè il reinvestimento in valori mobiliari, e ha contestato che potesse integrare la finalità di occultamento necessaria per l’autoriciclaggio: “Una somma scudata non si occulta, si espone”, ha detto.
Il giudice di appello, Renato Bricchetti, ha incalzato la difesa su un punto chiave: “Non tutti i reati tributari sono automaticamente scudabili”, osservazione che ha aperto un serrato confronto su quali reati fiscali fossero effettivamente oggetto dello scudo.
Dell’Arco ha prodotto documentazione su precedenti archiviazioni e assoluzioni in Italia a favore della D’Arpino, sostenendo l’assenza di qualsiasi accusa per appropriazione indebita o distrazione patrimoniale.La difesa ha chiuso il proprio intervento con un appello al “buonsenso giuridico” e alla “logica dell’elemento psicologico”: “Chi scuda non occulta. Scudare è esporre. Non si può punire ciò che lo Stato ha incoraggiato a regolarizzare”. E ha ricordato che “il 90% dei capitali scudati, per anni, è passato da San Marino”.
Il giudice di appello Bricchetti provvederà ad emettere sentenza nelle prossime settimane.