Un intervento denso e carico di significati istituzionali e politici quello pronunciato oggi, 14 luglio 2025, in Consiglio Grande e Generale dal consigliere del Partito dei Socialisti e dei Democratici (PSD), Luca Lazzari, durante il comma comunicazioni. Il suo discorso ha preso spunto da due recenti sentenze emesse dal Tribunale sammarinese, definite «distinte ma che si parlano», per sviluppare una riflessione più ampia sulle fragilità e le responsabilità delle istituzioni nella recente storia della Repubblica.

La prima sentenza citata è quella di condanna in secondo grado dell’ex Commissario della legge Alberto Buriani, figura emblematica degli anni del cosiddetto Processo Mazzini. «Da questa sentenza – ha affermato Lazzari – emerge un esercizio gravemente anomalo delle sue funzioni, segnato da omissioni e condotte incompatibili con l’imparzialità e il rigore richiesti a chi amministra la giustizia.»
Per Lazzari, la sentenza getta una luce nuova e problematica su quella stagione: «In quegli anni è vero, la politica aveva superato il limite. Serviva un argine. Ma con questa sentenza emerge una verità scomoda: quell’intervento, pur necessario, fu inquinato. Buriani agiva sotto condizionamento.»
Secondo il consigliere, questo elemento incrina la narrazione dominante di quegli anni, quando le inchieste giudiziarie furono accolte come una risposta rigenerativa a una politica compromessa. Ora, invece, «è lecito domandarsi se quella stessa azione non abbia prodotto, per alcuni, effetti ingiusti. Non solo per le modalità, ma per il senso stesso che quelle azioni hanno assunto: non accertamento sereno dei fatti, ma sovraesposizione pubblica e logoramento personale.»
La seconda sentenza richiamata da Lazzari è quella che ha condannato Francesco Confuorti, Claudio Savorelli, Alessandro Siotto e Giuseppe Sommella, per un presunto piano di infiltrazione occulta nelle istituzioni sammarinesi. «Non è solo una condanna penale – ha detto – è la ricostruzione giudiziaria di un disegno. Un disegno in cui figure interne ed esterne alle istituzioni operarono per conquistare leve di controllo sul sistema paese, in modo occulto, indebito, approfittando della sua debolezza.»
Secondo il consigliere del PSD, la figura centrale di questo “piano meticoloso” sarebbe stata Francesco Confuorti, descritto come «un uomo senza alcun ruolo formale, eppure capace di incidere sulle decisioni più delicate del nostro ordinamento».
La domanda chiave posta da Lazzari è diretta e incisiva: «Com’è stato possibile che una figura estranea alle istituzioni potesse esercitare una simile influenza? Da dove traeva legittimità?». La risposta, per il consigliere, va cercata nella debolezza della politica: «Un potere così anomalo non si costruisce da solo. Si costruisce quando la politica abdica», ha affermato.
Il filo conduttore tra le due sentenze, secondo Lazzari, è evidente: «Se la prima smaschera un uso distorto del potere giudiziario, la seconda mostra chi ne traeva vantaggio. Se Buriani appare come una pedina condizionata, la sentenza Confuorti ne rivela la scacchiera.»
E qui, secondo il consigliere, si rovescia anche il senso storico di quella stagione: «Quella che fu raccontata come una stagione di giustizia necessaria, si rivela anche come un momento di eversiva alterazione degli equilibri costituzionali. Non solo si colpiva la politica degenerata, ma si cercava di sostituirla.»
Lazzari ha poi riconosciuto il valore di chi ha resistito a quella spirale di potere: «Il Paese ha reagito. Ci sono stati politici, giudici, funzionari, cittadini che non hanno girato la faccia dall’altra parte. Alcuni hanno pagato un prezzo personale molto alto.»
Un passaggio particolarmente sentito è stato dedicato al movimento Rete, lodato per aver «messo a repentaglio se stessa per portare avanti una battaglia che non tutti potevano capire.»
Ma l’intervento si è concluso con un invito alla responsabilità e alla memoria: «La verità è che quella stagione ha lasciato cicatrici profonde. Le fratture non si sono ricomposte. I cortocircuiti tra poteri sono ancora lì. Ecco perché non basta dire che è passato. Perché non è passato.»
Per Luca Lazzari, serve una presa di coscienza collettiva e, soprattutto, una parola chiara da chi allora aveva ruoli di responsabilità: «Serve che chi allora avrebbe dovuto proteggere le istituzioni e non l’ha fatto, trovi il coraggio di dire: abbiamo sbagliato. Perché se la storia si riscrive troppo presto, senza aver chiarito e capito, sarà di nuovo una storia fragile.»