Gli atti formali erano praticamente pronti. Poi… poi non se ne fece nulla. E ancora siamo qui a parlarne, a chiederci se la zona rossa in Val Seriana avrebbe cambiato qualcosa oppure no. Le istituzioni lombarde la chiedevano, i dati lo consigliavano. Ma a Roma il processo si inceppò, spostò la decisione di qualche giorno, fino a non prenderla più. Molto si è detto sulla mancata chiusura della Bergamasca. Le immagini dei camion dell’esercito carichi di bare hanno fatto il giro del mondo. E le domande sono ancora molteplici. Si poteva evitare la strage isolando il focolaio? Chi decise di temporeggiare? Le forze dell’ordine erano pronte, ma sono rimaste inermi per giorni in hotel: perché non sono state dispiegate sul territorio?
Speravamo di trovare qualche risposta nel libro scomparso di Roberto Speranza. Rimaniamo delusi. Tuttavia il racconto che fa il ministro di quei giorni è interessante, e merita di essere letto. Il capitolo sull’”Italia blindata” si concentra nei primi dieci giorni di marzo, quando – scrive il ministro – “i dati della Lombardia sono i più preoccupanti”. A Codogno a dire il vero dopo alcuni giorni di blocco la situazione fornisce segnali positivi. Ma è fuori dai focolai iniziali che la faccenda si complica. “L’area del contagio è sempre più estesa”. Bergamo e la Bergamasca registrano numeri drammatici. “In queste ore – ricorda Speranza – si valuta se istituire nuove zone rosse”. Perché non vengono realizzate, se l’esperienza del Lodigiano lasciava intuire potessero essere utili?
Che Speranza volesse chiudere tutto non è ormai un mistero. Lo si è capito dall’audio “rubato” della riunione del 4 marzo a Milano con l’ex assessore Giulio Gallera e il governatore Attilio Fontana. Le resistenze, in realtà, sono tutte a Roma, zona Palazzo Chigi. Il 3 marzo il Cts, come emerge dai verbali, analizza la nota tecnica dell’Iss del giorno precedente e propone al governo di estendere le misure restrittive ad Alzano Lombardo e Nembro. “Per un’azione così grave – scrive però oggi il ministro – occorre una valutazione più approfondita rispetto a due righe di verbale e, dopo averlo letto, il 4 marzo chiedo a Silvio Brusaferro una relazione più strutturata da parte dell’Iss”. Il ritardo che si accumula intanto favorisce il virus. Non si capisce come mai per Vo’ e Codogno la decisione arrivò tutto sommato velocemente mentre per Bergamo serve “una relazione più strutturata”. La verità è che qualcuno decide di non sbarrare la Val Seriana e richiedere pareri su pareri agli esperi sembra solo un modo per coprire responsabilità politiche. Tanto è vero che il dpcm del 9 marzo con cui si darà vita al primo lockdown nazionale verrà “approvato” dal Cts solo dopo l’adozione delle misure. Non si poteva fare lo stesso anche per Alzano e Nembro?
“Al consiglio dei ministri del 5 marzo – si legge nel libro – avverto Giuseppe Conte e Luciana Lamorgese della richiesta di creare questa nuova zona rossa in Val Seriana. Il ministro dell’Interno si attiva prontamente per verificarne la fattibilità con le forze dell’ordine, che infatti effettuano i primi sopralluoghi sulla zona”. Conte invece temporeggia. Anzi, e questa è forse la vera rivelazione contenuta nel libro, stoppa un processo ormai prossimo ad essere approvato. “Gli atti formali di questa decisione – scrive infatti Speranza – sono già in preparazione quando il 5 marzo sera, mentre sono a Bruxelles, arriva la relazione dell’Iss. La giro al presidente del Consiglio che, consapevole della serietà della situazione più generale, aveva già chiesto un ulteriore confronto con il Cts il giorno successivo”. L’ennesimo giorno di attesa. “La riunione si tiene la mattina del 6 marzo presso la sede della Protezione civile” ed è “in quella riunione che il Cts matura un cambio di paradigma: il virus è ormai troppo diffuso perché abbia senso chiudere, con disposizione nazionale, singoli comuni, piccoli o grandi che siano”. Così si decide per attuare “zone rosse a territori molto più ampi e forse all’intero Paese”.
Che il 6 marzo fosse tardi potrebbe anche essere vero. Ma, come rivelato nel Libro nero del coronavirus (leggi qui), rappresentanti lombardi ed esperti chiedevano già da giorni misure drastiche. Ora o mai più. L’ex assessore Gallera lo disse senza mezzi termini in una conferenza stampa proprio del 6 marzo: “Quando per la prima volta, tre giorni fa, ci siamo confrontati in maniera puntuale con il comitato scientifico, cioè con l’Istituto superiore della Sanità, e avevamo avuto indicazione dall’Istituto che aveva formulato una richiesta precisa al governo, se fosse arrivata una risposta tre giorni fa, si sarebbe evitata un’incertezza” e anche la possibilità che i cittadini uscissero dalla Val Seriana “rischiando di creare danni a se stessi e agli altri”.
Ora sul caso indaga la procura di Bergamo. Difficile dire se si arriverà o meno a condanne, sempre che i fatti costituiscano reato. Il dato politico però è chiaro: la zona rossa è stata più di una ipotesi, ma si preferì temporeggiare. Di chi fu la colpa? Certo non di Regione Lombardia, come qualcuno in questi mesi ha fatto intendere (leggi Boccia e Conte). Tra i dati politici più interessanti del libro di Speranza, infatti, c’è pure questo: il ministro della Salute non scrive mai che quella decisione potesse essere presa in autonomia dal governatore Fontana.
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