Guerra in Palestina, esodo biblico da Gaza City: 480mila in fuga, mentre navi sfidano il blocco e la morte colpisce ancora

Centinaia di migliaia di civili palestinesi, intrappolati in un vortice di paura e distruzione, abbandonano le rovine di Gaza City puntando verso sud, in un esodo che evoca le migrazioni forzate di un tempo antico. Secondo le stime più recenti delle Forze di Difesa Israeliane (Idf), almeno 480.000 persone – circa metà della popolazione che contava un milione di residenti prima dell’offensiva su larga scala contro Hamas – hanno lasciato la città negli ultimi giorni, cercando rifugio in zone considerate meno esposte al fuoco.

Questa marea umana si sposta tra strade dissestate e checkpoint, mentre il conflitto infuria senza sosta, aggravando una crisi umanitaria che minaccia di travolgere l’intera Striscia.Parallelamente, tensioni al confine con la Giordania hanno portato alla chiusura di passaggi cruciali per gli aiuti. Ieri, un autista giordano che trasportava convogli umanitari verso Gaza ha aperto il fuoco al valico di Allenby, l’unico accesso diretto tra Cisgiordania e Giordania, uccidendo due soldati israeliani. In risposta, Israele ha sigillato il ponte di Allenby fino a nuovo ordine, come annunciato dall’Autorità aeroportuale israeliana. Colpiti anche gli altri valichi fluviali: quello settentrionale sul Giordano è stato chiuso del tutto, mentre il valico di Rabin, a sud, rimane operativo solo per i lavoratori. Questa mossa rischia di bloccare flussi vitali di soccorso, in un momento in cui Gaza implora ogni grammo di aiuto possibile.
In questo scenario di isolamento, un barlume di solidarietà internazionale arriva dal mare. Oggi, dalla rada di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa, è salpata una flotta di 42 imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, dirette verso Gaza con carichi di aiuti umanitari. Si uniscono ad altre sei partite dalla Grecia, in un’operazione che sfida il blocco navale israeliano. “Siamo partiti, stavolta non ci fermiamo più”, ha dichiarato Maria Elena Delia, portavoce del gruppo, confermando la determinazione di questa coalizione civile a forzare un corridoio umanitario nonostante i rischi.
Ma il bilancio delle vittime non dà tregua. Dall’alba di oggi, secondo l’agenzia palestinese Wafa che cita fonti mediche, almeno quattro palestinesi – tra cui due bambini – sono morti e diversi altri feriti in raid israeliani sparsi nella Striscia. Un attacco aereo ha centrato una tenda di sfollati a ovest di Khan Younis, nel sud, uccidendo i due minori. Nel centro, un uomo ha perso la vita e vari sono rimasti colpiti quando jet israeliani hanno bombardato vicino alla vecchia moschea di Deir al-Balah. Un drone, invece, ha mietuto un’altra vittima civile a ovest del campo profughi di Nuseirat, lasciando sul terreno un’ombra di dolore che si allunga su famiglie già provate.
Da Napoli, eco di questa tragedia arriva attraverso un videomessaggio del parroco di Gaza, padre Gabriel Romanelli, diffuso in Duomo prima delle celebrazioni per San Gennaro. L’arcivescovo, cardinale Domenico Battaglia, visibilmente commosso, ha introdotto il intervento del sacerdote, che ha dipinto un quadro desolante: la Striscia è teatro di bombardamenti incessanti e una guerra che ha già reclamato decine di migliaia di vite, inclusi oltre 18.000 bambini. Gli ostaggi israeliani attendono ancora la libertà, mentre feriti e malati languono senza cure adeguate negli ospedali, privi di tutto. Per Romanelli, in questo caos, le armi prevalgono su ogni spiraglio di umanità, soffocando speranze e diritti basilari.
Mentre le barche della flotilla solcano le onde mediterranee e i civili di Gaza City marciano verso l’ignoto, il mondo assiste a un dramma che interpella coscienze e governi: quanto ancora sangue dovrà scorrere prima che la pace prevalga sulle armi? La risposta, per ora, resta sospesa tra le dune di sabbia e le onde del mare.