Guerra israelo-palestinese, domani sul Pianello la manifestazione per la Pace. Ma quanti sammarinesi conoscono la storia di quella martoriata regine mediorientale? … di Enrico Lazzari

L’astensione della Repubblica di San Marino nel voto sulla risoluzione Onu “non vincolante”, approvata con 120 sì, 14 no e 45 astensioni, che si prefigge di arrivare ad un cessate il fuoco, ad una tregua umanitaria nella crisi israelo-palestinese, sta dividendo la Repubblica. E non poteva essere altrimenti visto che neppure l’ordine del giorno unitario presentato in Consiglio Grande e Generale è riuscito a compattare tutti i “Sessanta” registrando due defezioni nella conta dei voti favorevoli.

Posizioni estremamente critiche, oltre a decine e decine di cittadini che hanno affidato la loro disapprovazione ai social, si sono levate da Demos che l’ha definita una scelta “incomprensibile”, da Libera secondo cui è stato un “atto intollerabile”, da Rete che la ritiene un “grave errore di politica estera”, E, infine, strali non sono “ovviamente” mancati neppure dalla Csdl secondo cui “reagire all’orrore delle brutali violenze di Hamas con altre violenze indiscriminate da parte dell’esercito israeliano sui civili, non fa altro che alimentare una spirale di odio che rischia di allargare il conflitto”.

Non è mancata, ovviamente la presa di posizione della Segreteria di Stato agli  Esteri, che attraverso il ministro Luca Beccari ha spiegato -o tentato di motivare- la delicata scelta dell’astensione. “Votare a favore -ha dichiarato- sarebbe stato un riconoscimento implicito della legittimità dell’azione di Hamas; votare contro significava disconoscere ciò che di buono c’era in questa risoluzione”.

Fra poche ore (sabato 11 novembre, ore 16), intanto, i sammarinesi -Libera ha già formalizzato la sua adesione- manifesteranno sul Pianello perchè nella Striscia di Gaza possa finalmente arrivare a regnare la Pace. “Non ci sono condizioni per la pace, la pace è la condizione!”, ricorda lo stesso partito di sinistra… Eppure, fra Israeliani e mondo arabo circostante la pace sembra essere una chimera irraggiungibile.

Chi ha ragione? Perchè “i celebri due popoli in due stati”, lì non possono esistere? Oggi, al contrario del solito, non voglio esternare la mia posizione, la mia opinione in proposito. La questione Palestinese e una tematica delicata, complessa, con radici nella “notte dei tempi”, dove, oggi più che mai (al di là delle deleterie e pericolose posizioni preconcette o ideologiche), i veri poli della contesa possono essere riassunti in cinismo ed emotività. Due valori altrettanto positivi e simultaneamente negativi. Se un governante, ovvero chi ha la responsabilità delle conseguenze su interi popoli delle sue scelte, non può far prevalere l’emotività, un comune mortale come noi è per indole soprattutto “schiavo” della sua emotività. Non immagino nessuno, infatti, che non sia inorridito sia di fronte ai bambini sgozzati da Hamas che a quelli martoriati dalle bombe israeliane su Gaza.

Come ho detto, oggi non esprimerò la mia opinione. Ognuno su così complesse tematiche che toccano etica e morale deve farsi una sua opinione. In questi casi non può esistere una opinione giusta come non può esistere una opinione sbagliata. Ma, come ricordo spesso, una opinione può essere saggia, autorevole solo se basata sulla totalità degli elementi che vanno ad inserirsi nel contesto su cui cerchiamo di costruire una nostra opinione.

Così, esasperato dalla superficialità e dall’inquinamento ideologico della quasi totalità delle argomentazioni a supporto delle diverse visioni e considerazioni, mi limito a ricordarvi qualche passaggio storico, in maniera asettica, puramente descrittiva. Cominciando dal ricordare che il termine Palestina non è mai stato associato ad una entità statale fino al 2012, quando la Cisgiordania e la Striscia di Gaza vennero riconosciuti come tale in sede Onu. Precedentemente ad allora la Palestina è sempre stata soltanto una regione geografica in cui vivevano due comunità, quella araba e quella ebraica.

Ma vediamo, nel dettaglio, la storia, concentrandoci su chi, nei secoli, ha dominato “politicamente” la regione palestinese. E lo facciamo retroattivamente in maniera schematica, partendo da una data chiave (vedremo poi perchè chiave), ovvero il 1948.

– Prima della nascita del moderno Stato di Israele imperava il mandato britannico (Mandatory Palestine);

– prima  imperava l’Impero Ottomano;

– prima ancora il Sultanato Islamico Mamelucco d’Egitto;

– la Dinastia Ayyubide;

– il Regno Cristiano di Gerusalemme;

– il Califfato Fatimide;

– l’Impero Bizantino;

– l’Impero Romano;

– la Dinastia Asmonea;

– l’Impero Seleucide;

– l’Impero di Alessandro III di Macedonia;

– l’Impero Persiano;

– l’Impero Babilonese;

– i regni di Israele e Giudea;

– il Regno di Israele;

– la teocrazia delle 12 Tribù di Israele (siamo ai tempi raccontati nella Sacra Bibbia);

– lo stato individuale di Canaan.

Perchè ho deciso di evidenziare, in linee estremamente sommarie e schematiche, la storia della regione palestinese, vi chiederete. Perchè è importante conoscerla per trarre proprie conclusioni sensate, autorevoli e sagge sul diritto di uno, dell’altro o di tutti due i popoli a vivere in quella terra, soprattutto alla luce dell’art.12 dello Statuto di Hamas che recita: “Nulla è più vero e profondo nel nazionalismo che combattere un jihad contro il nemico”. Lo statuto di Hamas, al pari della storia della regione palestinese, ha un ruolo importante per comprendere la delicata questione. Doveroso, quindi, approfondirlo.

Nel suo primo statuto Hamas all’art.2 si definisce una diramazione dei Fratelli Musulmani non nascondendo all’art.6 che il suo obiettivo è di estendere l’Islam a tutta la regione palestinese, “liberando quel territorio dall’occupazione ebraica” è spigato all’art.15. 

Art.28: “Israele, con il suo ebraismo e la sua popolazione ebraica” vengono chiaramente definiti come i nemici dell’Islam e dei musulmani, pertanto, citando Hasan al-Banna, il fondatore dei Fratelli Musulmani, si sancisce che “Israele esisterà e continuerà a esistere finché l’Islam non lo annienterà, così come esso ha annientato ciò che lo precedeva”. Quindi è palese che l’obiettivo primario di Hamas, sancito nella prima versione dello Statuto, quella del 1988, era la cancellazione dello stato di Israele e degli “infedeli” dalla terra di Palestina.

Nel 2017 Hamas ha modificato alcuni aspetti del suo statuto originario, rendendo meno netta, più equivoca e interpretabile la volontà di cancellare Israele e gli israeliani. Nella nuova stesura, così come interpretato da Khaled Hroub, professore di Studi mediorientali alla Northwestern University del Qatar e ricercatore del Centro per gli studi islamici dell’Università di Cambridge, “Hamas non lotta contro gli ebrei perché sono ebrei, ma lotta contro i sionisti che occupano la Palestina”.

All’art.17, poi, questa nuova versione statutaria, sembra ripudiare la persecuzione per motivi religiosi ma poco prima, all’art.14, Israele è definito “il giocattolo del progetto sionista e la sua base di aggressione”, ragione per cui secondo Hamas (art.20) “qualsiasi alternativa alla piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare” non è accettabile. Nella nuova versione 2017, quindi, lo Statuto di Hamas è interpretabile, ma l’art.20 appare quanto mai eloquente  per spingere verso un preciso senso queste possibili interpretazioni, ovvero il rifiuto della soluzione paventata da un po’ tutto il mondo e, già concretamente in passato accettata da Israele, ovvero i “due popoli in due stati”.

Ho appena evidenziato che Israele ha già accettato concretamente in passato la soluzione dei due popoli in due stati. Questo a tanti di voi che leggete potrà suonare “stonato”. E potrà suonare incredibile anche a tanti che non lesinano ad esprimere, a sentenziare le proprie opinioni npro l’uno o pro l’altro che ritengono intoccabili e “sacre”. Non mi riferisco alla liberazione, al ritiro da Gaza del del 2005, dopo 40 anni di occupazione (quando l’esercito israeliano dovette “combattere” contro i coloni israeliani, poi trascinati via a forza dalla Striscia) che aprì il campo al primo governo dell’Autorità Palestinese

Mi riferisco al 14 maggio 1948, quando sulla base della Risoluzione Onu n.181 del 29 novembre 1947 e alla fine del mandato britannico (sotto il quale si registrarono forti scontri fra arabi ed ebrei, per talune letture addirittura una guerra civile), nacquero sul territorio della Palestina uno stato ebraico (Israele) e uno stato arabo.

Quel 14 maggio del ’48, quindi, la regione palestinese arrivò ad ospitare due popoli in due distinti stati. Ma la quiete durò pochissime ore. Neppure il tempo di crearlo che la Lega Araba (Egitto, Transgiordania, Libano, Siria ed Iraq), il 15 maggio, diede il via all’invasione di Israele, dopo il fallimento di tutte le iniziative diplomatiche e presso la Corte Internazionale di Giustizia intentate per annullare la spartizione della regione palestinese fra arabi ed ebrei, reclamando la totalità del territorio per la comunità araba.

Quel tentativo di invasione, per Israele la prima “Guerra di Indipendenza”, fu il primo vero e proprio atto di guerra fra paesi arabi e stato di Israele, che non solo riuscì a respingere gli invasori (li definì così anche il quotidiano dell’allora Pci “L’Unità” nella sua edizione del 22 maggio ’48). USA e URSS definirono l’attacco degli stati arabi in Palestina un’aggressione illegittima, mentre per il  segretario generale dell’ONU, Trygve Lie, fu senza mezzi termini “la prima aggressione armata che il mondo vide dalla fine della seconda guerra mondiale“. Solo la Cina, fra i grandi stati, si schierò al fianco delle rivendicazioni arabe.

Servirebbe un’enciclopedia non una pagina elettronica per elencare tutti gli elementi basilari della cosiddetta “questione palestinese”. Ma i tre eventi che vi ho ricordato o, per alcuni di voi, rivelato, sono aspetti chiave non trascurabili nel contesto si cui costruirsi una propria sensata opinione sulla ripartizione delle ragioni fra palestinesi israeliani (sì, perchè ora tutti siamo consapevoli che anche gli ebrei sono sempre stati presenti nella regione palestinese) e palestinesi arabo-musulmani.

Più difficile, invece, è farsi una opinione asettica, non inquinata dall’emotività, sul tragico, orribile momento della ormai secolare contesa. Solo una analisi cinica potrebbe creare una opinione razionale. Io mi rifiuto di crearmela, preferisco “nascondermi” nell’inquietudine provata per ogni bambino sgozzato da Hamas e per ogni bambino ammazzato dalle bombe israeliane su Gaza. Preferisco retoricamente sognare, erroneamente credere, che sia realmente e proficuamente percorribile nell’immediatezza una strada diplomatica e che un prossimo eventuale cessate il fuoco umanitario sarebbe la cosa giusta anche sul lungo termine.

Chi, invece, cinicamente questa sua opinione razionale ha il coraggio di ricercarla, potrebbe iniziare ponendosi un paio di domande. L’Italia sarebbe lo stato democratico che è oggi senza le bombe inglesi sulle città occupate e su San Marino, che necessariamente uccisero migliaia e migliaia di civili, di donne, di anziani e di bambini innocenti? Erano, queste, evitabili se avessimo privilegiato una via diplomatica con Hitler? Ma, soprattutto, questa eventuale via diplomatica, era concretamente percorribile visto l’interlocutore? E, infine, lo Stato Islamico dell’Isis, sarebbe oggi solo un brutto ricordo senza l’interminabile battaglia di Mosul, che vide la morte, sotto le “nostre” bombe (poco) “intelligenti” di oltre 10mila civili?

Io, temendo le ovvie risposte, evito di primi queste domande. Ma chi cerca ragioni per definire Israele “stato terrorista”, o Hamas “vero carnefice anche del popolo palestinese”, non può evitare di farsele…

Enrico Lazzari