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  • I Sei personaggi pirandelliani secondo Binasco

    Partendo dal dramma dei Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, puntando sulla ricostruzione emotiva della loro vicenda di famiglia disfunzionale, come si direbbe oggi, e la necessità drammatica di riviverla, Valerio Binasco, regista e interprete nei panni del Padre, ha costruito uno spettacolo che funziona, che coinvolge, per qualità e assenza di tempi morti. Il pubblico così premia lo spettacolo con lunghi appalusi ritmati che chiamano più e più volte gli attori in proscenio al Carignano, dove si replica sino al 7 maggio, coprodotto dallo Stabile di Torino con quello di Genova, dove arriverà dal 9 al 14 maggio al Teatro della Corte, e la Fondazione Teatro di Napoli, che lo ospiterà dal 16 al 28 maggio al Bellini. Il problema è se questa lettura può ancora dirsi solo di Pirandello, come si legge nella locandina, visto che per lui, come fa dire ai ragazzi allievi attori di oggi che, secondo copione, provano “Il giuoco delle parti”, questo “è un testo morto, di un autore morto, per spettatori morti”. Dichiarazione meno provocatoria di quel che sembra, visto che poi, come scrive nelle note di regia, ha voluto evitare di farne “un dramma filosofico il cui centro di interesse consista solo nella gara di intelligenza tra chi filosofeggia e chi cerca di raccapezzarsi senza capire niente di ciò che sostiene il suo interlocutore”, aggiungendo che gli “piacerebbe uno spettatore, sul finale, pensasse: ‘Nemmeno stavolta ho capito di cosa parlano i Sei personaggi, però ho capito che l’unica famiglia possibile è una compagnia di teatranti’”. Senza dire della riscrittura visto che alla stampa ha dichiarato che siamo davanti “a un linguaggio viscido, come sono viscidi i suoi personaggi”.
    La questione non è comunque una certa modernizzazione della situazione di contorno e lingua, che abbiamo già visto altre volte, ma il fatto che in quest’ottica generale si opera uno spostamento di senso, rendendo confuse elucubrazioni dei personaggi quel tema della relatività fondamentale del novecento, che non è solo quella di Einstein (che un aneddoto racconta si dichiarasse fratello ideale di Pirandello), ma per il nostro autore quella insita nella molteplicità del vissuto e pensato dell’uomo, espressa con una razionalità lucida che genera emotività e angoscia. Sentimenti resi vivi in scena da personaggi e attori con il loro esito inquietante nella ben nota risata pirandelliana, dal Laudisi di ”Così è (se vi pare)” appunto alla figliastra dei Sei personaggi, qui però assente, anche se il regista dice proprio ”la risata è importante”, scegliendo l’attrice che dovrebbe poi reinterpretare il personaggio. Resta allora, come si diceva, il dramma borghese e realistico dei Sei, prigionieri del loro tempo inizi Novecento come denunciano i costumi, non riuscendo a trovare mai quell’autore che li faccia finalmente vivere la loro storia di cui sono angosciosamente prigionieri, pure se questa volta trovano nei giovani attori e anche nel regista, poco davvero presi da quel che stavano facendo, un certo ascolto e alla fine una dichiarata partecipazione. Realistici e senza più nulla di quella irrealtà e razionalità mentale assieme che in Pirandello mette in crisi appunto la presunta verità positivista delle apparenze e della ragione e del teatro dell’epoca. E se il testo e il rapporto tra forma dell’arte e mutevolezza della vita che rende tutto illusorio contiene implicitamente il suo discorso sul teatro, Binasco, come a farne un bisogno di chiarezza personale del capocomico, lo rende esplicito e fin didascalico per arrivare a farci intendere che sia forse l’unica possibilità di realtà, con tutta la sua ambiguità che non può che essere tragica, che è poi il senso del finale come ci viene qui proposto, con l’allusoria macchia di sangue vero al suicidio del personaggio, finto per definizione.
    Ecco quindi che la regia, data per scontata la sua dichiarata insofferenza per Pirandello, punta a far emergere, più della metafora, e rendere più compatta sul piano narrativo la vita e i sentimenti del gruppo famigliare per renderli vivi e coinvolgenti per i giovani attori che vi partecipano, come per il pubblico, puntando sulla molteplicità di questi allievi del secondo anno della scuola per attori dello Stabile torinese, bravi, di evidente impegno e qualità che danno senso anche a qualche acerbità, così che sarebbero tutti da citare, assieme al dolente, sofferto, rabbioso padre che tenta sempre di riprendere il filo della sua spezzettata vicenda dello stesso Binasco, alla aspramente seducente figliastra di Giordana Faggiano, nella sua smania di rivivere la propria degradazione per coinvolgervi gli altri, con la intensa madre ammutolita e disperata di Sara Bertelà e lo spigoloso, nella sua tragica chiusura, figlio di Giovanni Drago e poi il centrale, spaesato, e vero nella sua inquietudine di artista capocomico di Jurij Ferrini, nella spoglia scena di Guido Fiorato e i costumi, nel contrasto tra i giovani colori d’oggi e il grigio del passato, di Alessio Rosati.


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