Il 2025 si chiude con il record di guerre dal 1945: oltre 50 conflitti attivi nel mondo

Si conclude un anno drammatico per la stabilità internazionale, definito da analisti e osservatori come il più violento dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il 2025 lascia in eredità un pianeta trasformato in una polveriera, con oltre cinquanta conflitti attivi a diverse intensità che infiammano i quattro angoli del globo, dall’Europa all’Asia, passando per il Medio Oriente e l’Africa. Una situazione senza precedenti testimoniata anche da John Simpson, veterano degli inviati della Bbc, che in un recente intervento editoriale ha sottolineato di non aver mai assistito a uno scenario simile pur avendo seguito circa quaranta guerre nella sua carriera.

A certificare la gravità della situazione è l’Acled Index (Armed Conflict Location & Event Data), che ha tradotto in numeri la scia di sangue degli ultimi dodici mesi. Tra il dicembre 2024 e il novembre 2025 sono stati registrati oltre 204mila eventi bellici, con un bilancio delle vittime che supera le 240mila unità, una stima considerata peraltro prudenziale. Il dato più allarmante riguarda l’estensione delle violenze: una persona su quattro nel mondo è stata toccata, direttamente o indirettamente, da un conflitto. Nel giugno scorso si è toccato l’apice di 56 guerre simultanee, il numero più alto dal 1945.

Tre sono stati i fronti principali che hanno segnato l’anno. La Striscia di Gaza e la Cisgiordania rappresentano, secondo i report, lo scenario con la più alta percentuale di rischio e mortalità, dove l’intera popolazione è costantemente esposta alla violenza. Altrettanto critica la situazione in Ucraina, classificata insieme alla Palestina e al Messico tra i luoghi più pericolosi della Terra. Le stime Onu di novembre indicano un peggioramento del quadro ucraino, con oltre 12mila vittime civili nel 2025, un incremento del 27% rispetto all’anno precedente. Anche le perdite militari russe avrebbero subito un’impennata del 40%, raggiungendo quota 350mila morti dall’inizio dell’invasione.

Meno visibile mediaticamente, ma devastante nei numeri, è la guerra civile in Sudan. Dal suo inizio nell’aprile 2023 alla fine del 2025, il conflitto ha causato almeno 150mila morti, generando una crisi umanitaria con 12 milioni di sfollati interni e 4 milioni di rifugiati nei paesi confinanti. Il mappamondo dei conflitti include anche le tensioni tra Libano, Siria, Yemen e Iran, colpite da raid israeliani e statunitensi, oltre agli scontri sui confini indo-pazifici e la guerra nella Repubblica Democratica del Congo. In Birmania si registra la frammentazione più estrema, con oltre 1.200 gruppi armati operativi.

Le prospettive per il 2026 non appaiono rassicuranti. Nuovi focolai rischiano di destabilizzare ulteriormente gli equilibri geopolitici. In America Latina si è aperto un fronte di tensione legato ai raid antidroga nel Mar dei Caraibi promossi da Donald Trump, con l’obiettivo dichiarato di colpire il governo venezuelano di Nicolas Maduro; una situazione che potrebbe coinvolgere anche Ecuador e Colombia. Resta alta l’allerta anche per lo Stretto di Taiwan e per la Nigeria, dove si registra una recrudescenza degli attacchi dell’Isis.