Nel vasto (e ahimè contorto) panorama dello sport la parola “coerenza” sembra essere svanita, in un’epoca in cui il denaro e l’opportunismo regnano sovrani.
Un recente caso, quello del “promesso sposo” Romelu Lukaku, ci offre un esempio tangibile di come i giuramenti vengano infranti e gli ideali siano sacrificati sull’altare delle convenienze personali.
Lukaku ha dichiarato con fermezza di non voler mai approdare alla Juventus, un “mai” che sembrava inossidabile. Un (supposto) amore per i colori neroazzurri quasi commovente.
Tuttavia, quando a comandare non sono i sentimenti ma i procuratori, i confini delle promesse si sfaldano, lasciando spazio a ben altre tentazioni, rispetto a quelle del cuore.
Una scena familiare questa che non rappresenta un unicum, ma ormai la regola.
Come non ricordare il caso di Gonzalo Higuain, che garantì con la stessa granitica fermezza di non tradire i suoi tifosi e la sua città, Napoli?
Ma alla fine, pure le sue parole si rivelarono vuote, e si ritrovò nella stessa squadra e nella stessa città che aveva giurato di non raggiungere.
Maurizio Sarri, pronunciò con sicurezza un “mai” simile, solo per ritrovarsi nella medesima squadra e città di Higuain, rendendosi conto troppo tardi dell’errore commesso, sia dal punto di vista tecnico, che umano.
Vogliamo ricordare Fabio Capello e il suo approdo da Roma, sempre alla Juve?
Meglio passare a Gianluigi Donnarumma, fiero milanista, che si unì rapidamente al coro dei trasferimenti, cambiando completamente colore e accettando l’offerta del Paris Saint-Germain.
Sia ben chiaro. Parliamo di professionisti e il problema non è certo il “solo” cambio di casacca. Piuttosto a stridere, infastidire, disturbare, irritare, sono i proclami e le promesse che alla fine non vengono mantenute.
Tali episodi – ma se ne potrebbero fare a bizzeffe – ci mettono di fronte alla cruda realtà: la coerenza è un bene prezioso e raro di questi tempi.
Il parallelismo fra lo sport e la politica è sin troppo ghiotto per non infilarvisi.
Cambi di casacca veri o presunti fanno ormai parte della normalità, quasi da non fare notizia.
Eppoi con un po’ di inventiva una storiella che regge la si trova sempre!
E in questo i politici sono molto più bravi dei calciatori, i quali si limitano all’evergreen “mi ha convinto il progetto”, frase alla quale neppure il più sprovveduto è disposto a credere.
Si potrebbe attingere alle profondità della filosofia e della letteratura, per comprendere taluni umani atteggiamenti, ma mi parrebbe uno spreco di inchiostro scomodare, chessò, l’imperativo categorico di Immanuel Kant, piuttosto che il richiamo di Jean-Paul Sartre alla responsabilità individuale.
Certo è che se mancano gli esempi, se coloro che hanno l’onore e l’onere di rappresentare le Istituzioni, gli “aristoi” (o presunti tali) sono i primi a predicare bene ma razzolare male, è difficile pretendere da tutti gli altri comportamenti virtuosi.
Ecco allora che ancora una volta lo sport diventa metafora della vita, di una società sempre più alla disperata ricerca di valori, dove le parole dovrebbero trovare eco nei fatti e in cui le promesse non siano solo una pleonastica parentesi per raggiungere il proprio fine.
David Oddone
(La Serenissima)