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  • Il caso di cronaca nera di Villa Verucchio. L’ultimo giorno di Muhammad Abdallah Abd Hamid Sitta, come ricostruito da Aly Harhash, rappresentante della comunità egiziana di Milano

    La notte di Capodanno si è conclusa tragicamente a Villa Verucchio, con la morte di Muhammad Abdallah Abd Hamid Sitta, un giovane egiziano di 23 anni ucciso durante un intervento delle forze dell’ordine. Sitta aveva accoltellato quattro persone prima di essere fermato con cinque colpi di pistola sparati dal comandante della stazione dei carabinieri, il luogotenente Luciano Masini, ora indagato per eccesso colposo di legittima difesa.

    Secondo quanto dichiarato da Aly Harhash, rappresentante della comunità egiziana di Milano, Muhammad era una persona affetta da gravi problemi mentali, lasciata sola in un momento di estrema vulnerabilità. “Il carabiniere ha fatto il suo dovere – ha detto Harhash – ma ci domandiamo perché nessuno abbia fatto nulla per aiutare Muhammad a curarsi”. Segnali di squilibrio erano evidenti già da mesi, ma, nonostante gli amici lo avessero accompagnato in ospedale, il giovane non aveva seguito le cure prescritte.

    Muhammad era arrivato in Italia nel novembre 2022 come immigrato irregolare, nella speranza di costruirsi una vita migliore e aiutare la sua famiglia rimasta in Egitto. Inserito in un progetto ministeriale e ospitato in diverse comunità, aveva lottato invano per trovare un lavoro stabile. Questa frustrazione, unita al peso della sua situazione, lo aveva portato a sviluppare una forte depressione. “Era disperato – racconta Harhash – sperava di tornare a casa, ma si sentiva intrappolato”.

    Un episodio particolarmente traumatico per Muhammad fu una rapina subita alcune settimane prima, in cui perse soldi, documenti e il monopattino, aggravando la sua angoscia. Nonostante il permesso di soggiorno valido fino al 2026, Muhammad ignorava l’esistenza di procedure per il rimpatrio volontario. In un momento di sconforto, si era convinto che commettere un reato potesse portare alla sua espulsione.

    Il 31 dicembre, Muhammad era stato visto a Rimini, nei pressi della moschea, dagli amici che cercavano di calmarlo. Il ragazzo appariva assente, con lo sguardo perso nel vuoto, e aveva espresso l’intenzione di commettere un gesto estremo. “Sembrava aver trovato conforto quando alcuni connazionali si erano offerti di pagargli il biglietto per tornare in Egitto”, racconta Harhash. Tuttavia, poche ore dopo, tornò a Villa Verucchio, dove ebbe luogo la tragedia.

    Per Harhash, questa storia pone interrogativi profondi: “Muhammad non era un terrorista, non beveva e non si drogava. Era semplicemente una persona malata, che meritava attenzione e cure”. La sua tragica fine evidenzia la mancanza di supporto per chi, come lui, vive in condizioni di disagio psicologico. Forse, con un sistema più attento ai bisogni delle persone vulnerabili, questo dramma avrebbe potuto essere evitato.