Il discorso di Piero Luigi Vigna ai nuovi Reggenti

Eccellentissimi Capitani Reggenti, Onorevoli Membri del Consiglio Grande e Generale, Illustri Rappresentanti del Corpo diplomatico, consolare e del mondo religioso, Autorità, Signore e Signori. Sono veramente grato alle Istituzioni della Serenissima Repubblica di San Marino per l’onore di poter prendere la parola in questa Cerimonia – l’insediamento degli Eccellentissimi Capitani Reggenti – così densa di storia e di significato.

A questa gratitudine si accompagna, in me, un altro sentimento che penso sia condiviso anche dalle Persone che assumono, oggi, il prestigioso incarico: l’emozione, per me, pur abituato alla parola, di non trovarne di particolarmente idonee a celebrare l’evento e, per Loro, quella derivante dall’impersonare, per il tempo previsto dalla Legge, secoli e secoli di tradizioni, fondate sulla libertà e su quel valore dell’autonomia che da secoli, ancor prima dell’anno mille, si realizzò col raggrupparsi, intorno al Monastero, di un nucleo di donne  e di uomini dai quali e dalle generazioni successive trassero origine, nel corso di un processo storico che si sviluppò nel tempo, le Tradizioni, gli Statuti, le Leggi, le Istituzioni nelle quali si configura e vive l’attuale Repubblica.

Questa, caso forse unico nella storia degli Stati, pur fondata su un popolo formato da un non rilevante numero di cittadini e con una estensione territoriale limitata, è stata capace di esercitare, nel corso della sua storia millenaria, la propria autonoma sovranità.

Tuttavia la Repubblica, venutisi a formare, nel volgere degli anni e specie nel secolo passato, Organismi sovranazionali ed internazionali – dall’ONU al Consiglio d’Europa ed ad altri ancora – non ha mancato di aderirvi nella consapevolezza che in un mondo complesso come quello moderno non si può operare come monadi di leibnitziana memoria.

Problemi ancor più rilevanti, rispetto alla complessità cui facevo riferimento, sono posti, oggi ed ormai da tempo, dal fenomeno della globalizzazione.

Questa, interpretata da alcuni economisti come un avvicinamento tra i popoli dovuto alla maggiore facilità delle comunicazioni, all’abbattimento delle frontiere, alla libertà dei mercati, compreso quello del lavoro, se valutata con l’ottica di chi, per le funzioni esercitate, ha osservato le dinamiche criminali, rivela, purtroppo, anche un maggior avvicinamento dei gruppi delinquenziali dei vari Stati, una maggiore facilità di loro accordi per la gestione dei traffici illeciti, ormai compresi in un vasto catalogo, un pericolo sempre più intenso di inserimento dell’economia criminale in attività che solo se gestite legalmente possono produrre sviluppo sociale: dal movimento terra, agli appalti di opere pubbliche, agli investimenti in insediamenti turistici o in strutture sanitarie, al gioco, all’edilizia.

Tutto ciò con l’impiego di denaro provento di gravi ed anche inumani delitti: traffici di donne ed uomini, droga, armi, gestione dei rifiuti nocivi e pericolosi.

Denaro criminale, questo, che filtrato da operazioni bancarie o da altre forme di intermediazione, cerca di dissimulare la propria origine per essere più facilmente immesso nei canali dell’economia legale, con la conseguente distorsione delle regole che debbono presiedere al libero svolgimento della concorrenza e del mercato.

In tale contesto assume un particolare rilievo la prevenzione e repressione del riciclaggio che, come è stato notato da un illustre giurista <<è lo stesso fenomeno in tutte le parti del mondo per quanto si manifesti sotto forme variegate e con diversa prevalenza delle tipologie, a seconda del quadro economico, sociale e anche normativo, del singolo Paese>>.

Questo fenomeno delittuoso, che non esito a definire come il “veleno” dell’economia si avvale poi, come è noto, anche delle nuove frontiere tecnologiche.

L’evoluzione tecnologica nelle strutture deputate agli scambi di moneta e titoli – come è stato rilevato recentemente da illustri studiosi – e le enormi possibilità di connessioni intersoggettive a distanza con la conseguente moltiplicazione delle transazioni finanziarie realizzate su differenti mercati, confinano a mero archivio storico la valenza delle ormai obsolete elencazioni di “tecniche di riciclaggio” elaborate anche solo un lustro fa.

La Serenissima Repubblica Sanmarinese ha assunto una decisa ed encomiabile posizione contro il riciclaggio con la legge 17 giugno 2008, n.92 titolata, appunto, <<Disposizioni in materia prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo>>.

Un altro importante passo che denota la tensione della Repubblica verso l’affermazione della legalità – solo per ricordare quello più recente – è stato l’adesione, avvenuta il 13 agosto di quest’anno, al GRECO, il gruppo di Stati contro la corruzione. Tale fenomeno, presente in molti Paesi e , purtroppo, con notevoli dimensioni, anche in Italia, mina, tra l’altro, alle fondamenta i principi di imparzialità e buon andamento che devono guidare l’azione politica ed amministrativa e viene assunto, prima di ricorrere alla forza, anche dalle organizzazioni di tipo mafioso.

Anche l’Italia, da lungo tempo, ha intrapreso, accanto a quella repressiva, una politica di prevenzione del riciclaggio, tenendo presenti la Dichiarazione dei Principi del Comitato di Basilea del 12 dicembre 1988 che introdusse per la prima volta il concetto di attività di riciclaggio, quelle di Vienna del 19 dicembre dello stesso anno e di Strasburgo dell’8 novembre 1990 (modificata dalla Convenzione di Varsavia del 16 maggio 2005) che previde la confisca come mezzo per privare i criminali dei proventi di reato ed ampliò la nozione di delitto presupposto. La legge 5 luglio 1991, n.197, che recepiva la I direttiva antiriciclaggio dettò disposizioni urgenti per  limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e per prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio. Attraverso una lunga serie di atti normativi si è infine pervenuti, come è noto, sulla base della III direttiva, all’emanazione del D.Lgs. 21 novembre 2007, n.231 che si pone come una sorta di T.U. per la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e le cui linee portanti sono in gran parte analoghe a quelle della legge sanmarinese. Può esser d’interesse notare che nel corso del 2009 si è riscontrato un aumento del 44,3% delle segnalazioni di operazioni sospette pervenute all’ UIF. Esse sono state infatti 21066 e quelle pervenute tra il primo ed il trenta giugno 2010, 15101 con un aumento pari al 52% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Purtroppo solo un esiguo numero di segnalazioni è stato inoltrato dai professionisti: unicamente tre avvocati nel 2009 hanno effettuato le segnalazioni tra le 136 inoltrate dai professionisti.

Un altro problema che le nostre società hanno dovuto affrontare è quello della sicurezza, considerata ormai come un vero e proprio diritto di cittadinanza, collegato com’è a quello di libertà. E’ infatti indubbio che l’insicurezza, reale o percepita che sia, finisce per condizionare i nostri comportamenti: ad esempio la scelta, per raggiungere una meta, di un percorso più lungo perché ritenuto più sicuro, rispetto ad un altro più breve, ma considerato, per le condizioni ambientali o perché vi si sono verificati episodi di illegalità, meno affidabile. Come si intende, desidero ora svolgere alcune brevi considerazioni su quella che viene definita, anche a livello europeo, come sicurezza urbana, pur nella consapevolezza che la filiera delle insicurezze è ben più ampia: da quella terroristica, a quella sul lavoro o per il lavoro, da quella alimentare a quella sanitaria o ambientale. Ritengo che una città “vive” nella misura in cui i suoi abitanti sentono il territorio e quanto esso comprende come “cosa propria”. Altrimenti subentrano disaffezione, disinteresse, supina accettazione di decisioni non condivise, come quelle relative a scelte urbanistiche, motivate talora da clientelismo ed affarismo e si aprono, tra l’indifferenza dei più, varchi al malaffare ed ai gruppi criminali che vogliono rendere il territorio “cosa loro”. Tutto ciò può essere contenuto da una efficace partecipazione dei cittadini, specie se riuniti in associazioni e comitati, che, con le loro proposte, possano instaurare un dialogo, diffuso anche dai media con la pubblica amministrazione sulle iniziative che questa intende assumere.

Affinché si realizzi quel senso di appartenenza del territorio a chi lo abita, al quale mi sono sopra riferito, è poi necessario che lo stesso sia reso il più possibile vivibile, con l’eliminazione di zone ed ambienti degradati, l’accurata manutenzione del verde pubblico, l’illuminazione delle strade, la loro pulizia, l’eliminazione di scritti e graffiti dalle mura degli edifici. Ulteriori iniziative possono concorrere ad infondere sicurezza. Così per esemplificare, l’utilizzazione di telecamere per monitorare determinate zone, l’affidamento ad un congruo numero di persone, che definirei assistenti del territorio, del compito di sorvegliare e percorrere, ciascuna di loro, la porzione di territorio assegnatagli, recependo le segnalazioni dei cittadini e rilevando i fenomeni di degrado da eliminare.

Memore del detto che sole due cose dividono, le sentenze e le guerre, ritengo utile la sperimentazione della mediazione sociale, istituto finalizzato a risolvere controversie di modestie dimensioni di materia civile, senza ricorrere al lungo percorso che normalmente contrassegna l’attività giudiziaria e durante il quale i dissidi, prolungandosi, possono sfociare in atti deprecabili.

E’ peraltro evidente che quale fondamento di tutte le iniziative che in un agglomerato urbano potranno assumersi per dargli un volto vivibile, si pone l’acquisizione, da parte dei cittadini, del “sentimento di legalità”, inteso come il convincimento di dover agire nel rispetto delle regole.

Un particolare rilievo assume, sul punto, l’attività della scuola che deve riservare uno spazio al tema della legalità, esercitando anche gli studenti ad affrontarlo con saggi o temi.

La consapevolezza dell’importanza delle regole favorisce non solo l’individuazione dei doveri che ciascuno è chiamato ad adempiere, ma anche dei diritti che ad ognuno competono e che devono esser fatti valere in contrapposizione al diffuso costume della raccomandazione, indice di clientelismo e di accettazione del ruolo di suddito anziché di quello di cittadino.

Un’ultima considerazione. La Repubblica di San Marino, che ha sviluppato la propria autonomia politica ed amministrativa fin dal periodo medioevale, deve vivere ed operare in una particolare simbiosi con la Repubblica Italiana con il cui territorio da ogni parte confina.

E’ pertanto necessario ed utile che eventuali problematiche che possano insorgere tra i due Stati vengano appianate e risolte con spirito dialogico – è questo il sale della democrazia – e reciproca comprensione.

A Voi, Eccellentissimi Capitani Reggenti, supremi garanti dell’ordine costituzionale così come alle altre Istituzioni della Serenissima Repubblica, mi permetto di affidare questo messaggio che mi auguro venga recepito anche dai competenti organi della Repubblica Italiana.

Piero Luigi Vigna