L’evoluzione del giornalismo italiano porta inevitabilmente il nome di Claudio Santini, figura di straordinaria importanza che, dalla fine degli anni Cinquanta, ha rappresentato un emblema di rigore e consapevolezza nell’esercizio della professione. Il suo impegno, incarnato di recente nella pubblicazione “Ordine dei Giornalisti: Una Storia” (Minerva Edizioni), racconta le trasformazioni che hanno attraversato il giornalismo italiano e, in particolare, l’Ordine dei Giornalisti, istituito il 3 febbraio 1963 con la legge n. 69. La legge, creata in un momento storico delicato, sancì la nascita di un istituto volto a difendere la libertà di stampa, ma anche a regolamentare i doveri e le responsabilità dei giornalisti. Era il riflesso di un’Italia in cerca di un equilibrio tra il diritto di informare e il rispetto della verità, necessaria per la salvaguardia della democrazia.
L’istituzione dell’Ordine aveva lo scopo di proteggere la libertà di espressione, ma anche di porre dei limiti alla pubblica ingerenza nella vita privata. Nacque dall’esigenza di arginare i danni che una stampa spregiudicata poteva causare, come avvenne nel caso della morte di Wilma Montesi, il cui trattamento mediatico rivelò le potenziali derive del giornalismo sensazionalista. Non a caso, il caso Montesi mise in luce come la cronaca possa trasformarsi in una “caccia al colpevole” con impatti devastanti non solo sulla vita delle persone, ma anche sul sistema politico e sociale del Paese.
La figura del giornalista viene da allora regolata da un codice deontologico, che negli anni ha subìto adattamenti, ma che resta fondato su principi solidi: il rispetto della verità, il diritto dei cittadini a una corretta informazione e il dovere di rettificare eventuali errori. Questi valori, che Claudio Santini ha sempre difeso anche come docente di deontologia professionale, si scontrano però con una realtà complessa, dove il confine tra il diritto di cronaca e la diffamazione è sottile e mutevole. Se da un lato è innegabile che il giornalismo abbia il compito di mettere sotto la lente della critica la sfera pubblica, dall’altro è altrettanto vero che tale critica non può essere esercitata senza limiti, pena il rischio di cadere in una sorta di licenza che giustifica ogni metodo pur di “fare notizia”.
Nella pratica giornalistica quotidiana si assiste a un crinale difficile da percorrere, dove la tentazione di porre il personaggio al centro del racconto piuttosto che i fatti rappresenta un’insidia che rischia di ledere sia i diritti individuali, sia la credibilità della stampa stessa. Una linea sottile continuamente minacciata dalla volontà di alcuni media di utilizzare la macchina informativa come strumento di delegittimazione, spostando il fuoco dalla verità dei fatti all’opinione del pubblico. È un fenomeno pericoloso, che può alimentare la disillusione nei confronti dei giornalisti e indebolire il ruolo critico della stampa nella società.
La stessa legge n. 69, dopo oltre sessant’anni dalla sua promulgazione, è oggetto di discussione. C’è chi, come il Partito Radicale nel 1997, ha cercato di abolire l’Ordine ritenendolo obsoleto e in contrasto con il principio di libertà di stampa. Il referendum proposto non raggiunse il quorum, ma sollevò un interrogativo che resta aperto: la presenza di un ente ordinistico è ancora necessaria, oppure rischia di limitare la libertà di espressione dei giornalisti? Il dibattito sulla necessità di riforme prosegue, e il Consiglio nazionale dell’Ordine ha proposto negli anni alcune revisioni, come l’istituzione di un giurì di vigilanza per garantire la correttezza dell’informazione, segno di una necessità di adattamento alle nuove sfide del giornalismo contemporaneo.
Oggi, più che mai, essere giornalisti significa diventare garanti della democrazia, in un dialogo continuo con l’opinione pubblica e il diritto alla verità. Nel farlo, si devono riconoscere i propri limiti e l’importanza della deontologia non come un vincolo, ma come un mezzo per costruire fiducia e integrità. Nel frenetico rincorrersi delle notizie, l’equilibrio tra libertà e responsabilità rappresenta l’essenza stessa della professione, perché come afferma Santini, “la deontologia è utile al funzionamento della società ed è anche lo scopo principale dell’Ordine dei Giornalisti”.
David Oddone
(La Serenissima)