
Differentemente rispetto a quanto successo sul finire dello scorso inverno, questa volta l’Italia non è stato il primo Paese in cui si è chiarito come il nuovo aumento dei casi di coronavirus potesse considerarsi una seconda ondata. E soprattutto, non siamo stati i primi in cui questo scenario si è rivelato ancora più problematico rispetto a quello vissuto nella scorsa primavera (in linea, in fondo, già con le stime fatte dagli esperti ancora nell’estate passata).
Già nel mese di settembre, infatti, Spagna e Francia avevano iniziato a dare i primi segni di un ritorno della pandemia, con città come Madrid, Barcellona, Parigi e Marsiglia alle prese con un nuovo picco di contagi. Era ancora settembre quando, destando scalpore a livello europeo, la Spagna dichiarò di aver avuto ben 241 morti in un solo giorno (cifra che, purtroppo, ricorda i decessi odierni nel nostro Paese). Eravamo dunque in “vantaggio”, ma nonostante ciò, il gap tra Spagna, Francia e Italia si è assottigliato sempre di più. Anzi, come riportato da Il Sole 24 Ore, adesso le nostre terapie intensive si stanno riempiendo ad un ritmo doppio rispetto a Madrid e Parigi.
Com’è stato possibile, dunque, che tutto ciò sia accaduto nonostante l’esperienza della scorsa primavera e lo sguardo sul quanto stesse accadendo al resto d’Europa?
Il governo italiano conferma la poca lungimiranza
Come sottolineato in questi giorni da molti esperti sia in campo sanitario che in campo economico, l’Italia a questa tornata ha dimostrato una gravissima impreparazione per quanto riguarda l’applicazione di misure preventive volte a garantire la salute sia delle persone sia del sostrato economico del nostro Paese. Ed è in questa chiave, dunque, che vanno lette le criticità che stiamo affrontando e che ancora affronteremo nei prossimi mesi, in una situazione in cui sembriamo occupati più a “rincorrere” i contagi rispetto al prevenirli.
Nella sostanza, l’errore principale è da ricercarsi in una mancata programmazione e nello scarso potenziamento delle strutture sia fisiche che operative che avrebbero potuto prevenire il peggio. Scarsi investimenti negli ospedali, trasporti lasciati inalterati e poche direttive (spesso contrastanti) dirette al settore sanitario che si sono essere rivelate essere la discriminante. Come se nulla, in fondo, avessimo imparato dall’esperienza della scorsa primavera.
Come osservato in più occasioni, le misure di serrata graduale decise dal governo fanno i conti con dati che riflettono l’immagine di un Paese di almeno dieci giorni prima. Ogni soluzione presa in base ad essi, dunque, non può che essere già in ritardo, con il virus che in questo modo oltre ad essere letale si è dimostrato in grado di saper quasi agire “d’anticipo” rispetto alle istituzioni. Ma tutto questo, in fondo, si sarebbe potuto strutturare meglio nel periodo di “pausa” dettato dalla stagione estiva, quando i contagi bassi avrebbero dato il tempo di organizzare al meglio sia gli ospedali che le modalità operative per prevenire che la situazione sfuggisse di mano. Possibilità che, di fatto, era divenuta realtà già con il superamento di quota 10mila contagiati giornalieri.
Si punta tutto sul coprifuoco e sulle chiusure
Archiviato il termine “lockdown” da parte delle istituzioni, negli ultimi giorni e nelle ultime ore si è preferito parlare di “coprifuoco anticipato” e di “chiusure più stringenti” verso quelle attività che potrebbero favorire il propagarsi del patogeno. Tuttavia, questa serie di misure attuate in un momento in cui sono state messe in evidenza le mancanze del governo italiano hanno tanto la parvenza di scarico delle responsabilità. Uno scaricabile che ha spesso coinvolto i giovani, considerati indisciplinati, o le autorità locali, ritenute incapaci di dare adeguate risposte ai cittadini. Un ragionamento sicuramente rassicurante per coloro che si sarebbero dovuti prendere cura delle frange più deboli della popolazione italiana, ma forse abbastanza lontana da quella che è la realtà dei fatti.
Così, nonostante i 45-70 giorni di vantaggio rispetto al resto d’Europa, siamo riusciti a cadere ancora una volta negli errori della scorsa primavera. E soprattutto, abbiamo deciso di applicare una modalità operativa che già una volta si era rivelata fallimentare, sperando però di ottenere un risultato differente. Risultato, però, disatteso dal numero odierno delle terapie intensive e da un numero di decessi quotidiano che si sta rapidamente avvicinando al valore di 300 vite giornaliere.
—
Fonte originale: Leggi ora la fonte