IL GOVERNO VUOLE RISANARE IL BILANCIO SULLE SPALLE DEI PRECARI E DEI FRONTALIERI?

Il no del Governo alla stabilizzazione dei precari PA, così come alla stabilizzazione dell’ultima tranche di lavoratori frontalieri, è di natura politica, non economica, poiché non si va a gravare sul Bilancio dello Stato. Rifiutiamo il tentativo di dividere i lavoratori dei vari settori, e la logica del “mal comune mezzo gaudio”

Nell’incontro di ieri sui temi della Pubblica Amministrazione, la delegazione del Governo ha annunciato il suo secco no alla stabilizzazione dei lavoratori precari del pubblico impiego; così facendo l’Esecutivo smentisce l’impegno che esso stesso si era assunto per iscritto siglando l’accordo, qualche mese fa, che impegnava le parti ad aprire entro settembre 2010 la trattativa per giungere alla stabilizzare degli stessi precari.

Fa molta rabbia apprendere che, in un momento di difficoltà economica, il Governo non senta la responsabilità e il dovere di tutelare, in primis, le fasce più deboli della popolazione: i precari appunto, abbandonati di fatto a sé stessi. Il diniego dell’Esecutivo fa ancora più rabbia poiché la CSU è sempre stata disponibile a trattare ricercando soluzioni tali da non gravare ulteriormente sul Bilancio dello Stato, traslando nel tempo gli effetti economici della stabilizzazione.

Rifiutando anche questo tipo di impostazione del Sindacato, l’Esecutivo dimostra di non comprendere realmente quali siano le difficoltà di tanti lavoratori che giorno dopo giorno mandano avanti importanti servizi pubblici, e che da diversi anni  rappresentano un notevole risparmio per le casse dello Stato (infatti, i lavoratori precari percepiscono solo la paga base, e hanno diritti normativi limitati). I motivi del no governativo non sono quindi di natura economica (poiché come detto non si influirebbe sui prossimi bilanci dello Stato), bensì di natura politica; ciò è peraltro confermato dall’annuncio di voler bloccare anche la stabilizzazione dei lavoratori frontalieri, una misura che non produrrebbe nessun effetto concreto.

Infatti gli accordi contrattuali vigenti prevedono che l’ultima tranche di lavoratori frontalieri da stabilizzare scatterà il 1° gennaio 2011 per chi è stato assunto presso la stessa azienda nel 2003, mentre le fasi successive sono subordinate al raggiungimento degli accordi con l’Italia in materia di lavoro transfrontaliero (fisco, sanità, previdenza e verifiche amministrative).  Stiamo parlando, in questa fase, di circa 200 lavoratori frontalieri che lavorano a San Marino da oltre 7 anni. Quale sarebbe pertanto il risultato pratico? Quali sarebbero i grandi benefici per l’economia sammarinese?

Da un lato si vogliono rinnegare accordi contrattuali stipulati, come quello sulla stabilizzazione dei frontalieri, cosa inaccettabile nella forma e nella sostanza, e dall’altro si tenta di dividere i lavoratori dei vari settori, ed all’interno di questi, in base alla logica del “mal comune mezzo gaudio”, con l’obiettivo malcelato di indebolire il movimento sindacale, il quale non resterà inerme di fronte a queste prese di posizione. Se questo è il modo di risanare il bilancio dello Stato e di ottenere l’auspicata coesione nell’interesse generale del Paese…

Alessio Muccioli – Segretario FUPI/CSdL (Pubblico Impiego)

Enzo Merlini – Segretario FULI/CSdL (Industria)