Non c’è prova che Guerrina sia morta, se lo è non c’è prova che sia stato un delitto, se è un omicidio non c’è prova che l’assassino sia Padre Gratien. Eccola in sintesi la motivazione con cui, dopo un’arringa-fiume che è andata avanti per quasi otto ore, l’avvocato Riziero Angeletti, il difensore, chiede l’assoluzione del religioso. Lui, il sacerdote congolese accusato per il giallo di Ca’ Raffaello e per il quale il processo di Arezzo si avvia al rush finale – sentenza il 24 ottobre –, sbotta e corre ad abbracciare i suoi legali: «Sono innocente, non ho ammazzato nessuno».
La parte più stringente nelle maratona che la difesa impiega per sottrarre padre Gratien alla ghigliottina dei 27 anni di galera chiesti per lui dal pm Dioni è quella sulla ricostruzione degli orari del delitto, che azzera o quasi i tempi per uccidere calcolati dal pubblico ministero: fra le 13,46, il momento dell’ultimo sms fra Guerrina e il frate e le 14,20, quando Gratien telefona (a vuoto) al marito della donna del Riminese, Mirco, che quel primo maggio 2014 doveva accompagnarlo da Ca’ Raffaello a Presciano di Sestino per celebrare un funerale. Mezz’ora, aveva detto Dioni, è più che sufficiente per togliere una vita e nascondere il cadavere. Ebbene, nelle mani di Angeletti, quei trenta minuti spariscono fino a diventare quasi nulla. La difesa valorizza infatti i 5 testimoni che dicono di aver visto la casalinga a cavallo di quel lasso di tempo.
ANGELETTI parla di processo indiziario di terzo grado: in primis bisogna capire se la casalinga di Ca’ Raffaello è morta davvero (e lui non esclude ancora l’allontanamento volontario), nel caso che lo sia davvero se è stato un delitto o un suicidio (proprio quella mattina, ricorda, lei aveva confidato ad un’amica di voler finire «sotto un ponte») e se proprio si è trattato di un omicidio va provata la colpevolezza di padre Gratien. Angeletti sorvola invece sui tre elementi che l’accusa ritiene come i propri punti forti.
Ossia l’sms delle17,26 dal cellulare di Guerrina a quello di un prete nigeriano che in apparenza solo il frate conosceva («Ma chi lo dice con certezza?», si domanda l’avvocato) e che pare l’indizio di come il telefono di lei fosse rimasto nelle mani di lui; l’enigmatica figura dello zio Francesco, il misterioso accompagnatore della donna nella fuga che solo padre Gratien ha visto; i tabulati secondo i quali il telefono di lei si riaccende dopo la scomparsa solo quando nei pressi c’è quello del frate.
MA, fa notare Angeletti, c’è sempre una distanza di qualche decina di minuti e quindi non c’è alcuna certezza. Per la difesa ce n’è a sufficienza per suscitare il ragionevole dubbio che imporrebbe di assolvere. E per la corte d’assise? Il Resto del Carlino