Il Movimento 5 Stelle adesso è sparito: ecco perché

È un tonfo rumoroso perché venuto davvero dall’alto. Da quel picco di elettori (il 32%) delle politiche del 2018. Da quel momento in avanti, il Movimento 5 Stelle ha dilapidato un patrimonio facendo null’altro che la normalità: amministrare.

Dal governo nazionale fino agli enti locali, ovunque i cittadini abbiano avuto prova della straordinaria inefficacia dell’ideologia del M5S hanno risposto con una pernacchia sonora. Anticamera di una depressione politica che si è convertita in parte in assenteismo. O per meglio dire ri-convertita. Perché se è vero che l’avvento dei grillini è riuscito a dare la sensazione a centinaia di migliaia di italiani disillusi che per una volta dopo tanto tempo ci sarebbe potuta essere la possibilità di incidere col timbro sulla propria tessera elettorale, il (comunque prevedibile) bluff pentastellato degli ultimi 3 anni ha spinto tutti quegli elettori, e molti altri, lontani dai seggi.

Soprattutto, si taglierebbero le mani piuttosto che rivotare M5S. Lo dimostra anche l’ultima tornata di amministrative, con l’ultimo Comune a targa pentastellata in Emilia-Romagna perso al ballottaggio: Mariano Gennari, sindaco uscente di Cattolica (Rimini) è infatti stato sconfitto dalla candidata del Pd Franca Foronchi, che ha vinto con il 63,5%.

Ma il tonfo grillino negli enti locali era iniziato già nel 2019, un anno dopo le politiche, con i tracollo in città amministrate dai grillini come Livorno, Avellino (esperienza durata cinque mesi con ben 23 voti espressi per sfiduciare il sindaco Vincenzo Ciampi), Civitavecchia e Nettuno.

Un altro dato significativo di questa tornata lo aveva già offerto il primo turno in una città per nulla come le altre: Napoli. La lista grillina, caricata dalle discese in Campania di Giuseppe Conte e alleata col centrosinistra, aveva riscosso il 12,8%, un quarto rispetto all’impressionante 51% ottenuto del 2018 nella città col più alto tasso di beneficiari del Reddito di cittadinanza di tutta Italia.

Persino i percettori del RdC, dunque (a Napoli e provincia ne beneficia mezzo milione di persone, 170mila nuclei familiari), nella roccaforte di Luigi Di Maio hanno voltato le spalle al grillismo. Sia i provvedimenti politici ad ampio spettro, sia le gestioni degli enti locali, sia l’appiattimento sul nazionale (con l’alleanza prima con la Lega “nemica del Sud” poi col Pd “partito di Bibbiano”), sono le tre fonti di fuoco incrociato che stanno condannando il M5S all’estinzione. O, in alternativa, alla fusione col Partito Democratico, in teoria alleato, in pratica cannibale.


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