“Seconda stella a destra questo è il cammino e poi diritto, fino al mattino poi la strada la trovi da te porta all’isola che non c’è”, cantava Edoardo Bennato quand’ero poco più che un ragazzino, ma poi dobbiamo esserci persi. Era il 1990 o il 1991 dalle parti del Tribunale di Milano, sarà stata la nebbia padana o forse quel casellante (o era un pm? o un politico? non mi ricordo più bene) dalla sintassi zoppicante, e insieme alla strada per l’Isola che non c’è abbiam smarito anche quella per un “paese normale”.
E quando sbagli strada, si sa, cominci a girare e rigirare senza una meta precisa e, com’è come non è, ci siamo ritrovati dalle parti della Corte d’Assise di Palermo. Si, stiamo parlando del Presidente della Repubblica-testimone, e ora che abbiamo appreso che all’udienza fissata per il 28 ottobre presso il Quirinale Totò Riina e Leoluca Bagarella (e per vero non solo loro ma tutti gli imputati) non potranno esserci possiamo provare a cercare in questa intricata vicenda qualche punto fermo.
Intanto Giorgio Napolitano con la “trattativa”, ammesso e non concesso ci sia stata, non c’entra niente. Unico punto di contatto sono le telefonate di Nicola Mancino. Peccato che in quelle telefonate non c’è nulla che possa interessare il processo; lo hanno ammesso gli stessi pubblici ministeri, sebbene la distruzione dei files di quelle telefonate che si intercettarono senza poterlo fare sia avvenuta solo a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale. Ma non ci si è dati per vinti e ora si vuole sentire Napolitano a proposito di un passaggio di una lettera che a Giorgio Napolitano scrisse Loris D’Ambrosio, che, è bene ricordarlo, per questa vicenda ci ha rimesso la pelle. A dire il vero, il Presidente della Repubblica ha già detto che Loris D’Ambrosio non gli disse altro e, quindi, che il suo esame sarebbe stato inutile, ma i giudici palermitani gli hanno risposto che non sta al testimone decidere dell’utilità della sua testimonianza. E bisogna prenderne atto, anche se mi viene da chiedermi: chissà che ne sarebbe stato di una richiesta di prova così scombiccherata qualora fosse provenuta dalle difese? (ma questa è ubbia da avvocato penalista, non ci fate caso).
Senonchè, più l’udienza si è avvicinata, più si è cominciato a gridare alla trappola per il Presidente della Repubblica e ci si è cominciati ad agitare. Beninteso, sono convinto che la vicenda palermitana sia solo l’ennesima puntata di un’epopea nella quale si è tentato con ogni mezzo di tenere sotto ricatto la politica e sono persuaso che il 28 di ottobre si scriverà una delle pagine più buie della storia repubblicana. Ma il “rimedio” adottato oggi dai giudici di Palermo pare se possibile più inaccettabile dell’oltraggio istituzionale; insomma peggio la toppa del buco, come direbbero in Veneto.
Infatti, la Corte d’Assise di Palermo ha rigettato l’istanza presentata dagli avvocati degli imputati al fine di poter partecipare all’udienza che si terrà presso il Quirinale. Come se l’art. 178 del codice di procedura penale fosse un inutile orpello e condannando il processo per la trattativa, qualunque ne sarà l’esito, ad una sicura censura da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in proposito fatemi rimettere per un attimo la toga del penalista: cari amici magistrati, dovrete cominciare ad abituarvi al fatto che, se non a Berlino, a Strasburgo c’è un Giudice che, a differenza di qualcuno di voi, non pensa che i principii del processo accusatorio siano una bestemmia; toccherà che ve ne facciate una ragione).
Ma tant’è. Certo che un modo per ritrovare la strada ci sarebbe pure: ormai i buoi sono scappati dalla stalla e che i processi vengano sovente utilizzati per finalità extragiudiziarie, quando non squisitamente politiche, non possiamo più impedirlo. E però sarebbe almeno utile che quando la si butta in politica poi le regole della stessa le si applichino per intero, compresa quella fondante, ovvero che chi perde va a casa.
Mi spiego meglio: quando il processo cessa di essere il luogo della prova e del dibattimento, e diviene discount a buon mercato di trame, complotti e mitologie varie per il Fatto Quotidiano o il blog di Beppe Grillo, insomma quando comincia a sorgere il sospetto che ci si voglia precostituire la piattaforma per la buonuscita politica e per la politica come buonuscita, sarebbe doveroso esser conseguenti e a fronte degli insuccessi andare a fare un altro mestiere.
Ma questo accadrebbe in un “paese normale”, e qui, anche se siamo in Sicilia, la nebbia padana non si dirada, il navigatore è andato in tilt e non c’è nemmeno l’ombra di un autogrill.