
Come un novello Charles De Gaulle, Mario Draghi viene evocato a più riprese come l’uomo capace di prendere in mano le redini del Paese in caso di fiasco dell’esecutivo e di crisi sistemica del Paese. Lungi dall’essersi ritirato nella sua personale Colombey, l’ex governatore della Banca centrale europea non ha cessato di interessarsi alla vita pubblica italiana ed internazionale, suonando la carica a marzo per un’incisiva risposta alla crisi e chiedendo una svolta politica contro le conseguenze della pandemia nelle scorse settimane. Dribblando, però, ogni tentativo di tirarlo per la giacca e trascinarlo nella quotidianità dell’agone politico.
Una strutturata “ipotesi Draghi” è stata evocata più volte durante la legislatura. Quando ancora era insediato il governo Conte I a trazione M5S-Lega fu ventilata l’idea che Sergio Mattarella nominasse Draghi senatore a vita per valorizzarne il ruolo di “riserva della Repubblica” e garantire al Paese un nome forte in caso di richiamo internazionale, soprattutto da parte statunitense, circa l’allineamento dell’Italia ai suoi tradizionali assi di riferimento. La cui garanzia è un pilastro della dottrina presidenziale del capo dello Stato.
Ora, invece, la preoccupazione crescente legata al governo Conte II è quella delle cancellerie europee che da tempo vanno ridimensionando il credito nei confronti dell’ex docente universitario pugliese. Il governo giallorosso M5S-Pd-Italia Viva-LeU è nato con un forte afflato europeista che non ha avuto corrispondenze in sostegni strategici veri e propri da parte dell’Unione. Anche nel contesto della risposta alla pandemia i giallorossi sono parsi troppo incerti e, in particolare, a Bruxelles è ben poco gradita la lentezza con cui l’Italia sta lavorando ai progetti per il Recovery Fund dopo che Germania e, soprattutto, Francia hanno fatto un forte pressing per spingere il governo a approvare la riforma del Mes.
Come ha sottolineato Marco Antonellis su Italia Oggi, ciò si ripercuote nei pensieri politici dell’establishment italiano, ben conscio che in questa fase “‘Italia sotto il profilo politico è sotto ‘tutela’ della Germania mentre dal punto di vista economico-finanziario dipende dalla Francia. Per questo chi fa la spola tra questi ‘mondi’ è sicuro nel dire che in ‘Europa ormai il livello di guardia è salito alle stelle e non se ne può più dell’indecisionismo contiano’”. E tra Parigi e Berlino sta iniziando a salire fortemente la tentazione di perorare la causa di un governo a guida Mario Draghi in caso di tracollo del Conte II.
Stiamo parlando dell’ennesimo richiamo a Draghi perché assuma un ruolo politico? Certamente chiamare il navigato banchiere romano a un ruolo istituzionale rappresenta un processo complesso. L’uomo risultato a lungo tra i più potenti della Terra, a guida dell’autorità sovrana e commissaria per eccellenza dell’Eurozona, capace di decidere con un semplice flatus vocis i tassi d’inflazione, l’andamento dei mercati, la fiducia degli operatori è certamente avvezzo a esercitare il potere e senza un mandato pieno difficilmente sceglierebbe di scendere l’agone. Al tempo stesso, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha avvertito Giuseppe Conte e Matteo Renzi che in caso di crisi accelerata dalle loro beghe di condominio non si frapporrà a toglier loro le castagne dal fuoco e chiederà ai partiti una rapida soluzione di una crisi, nella direzione o di un rimpasto o di un nuovo esecutivo. E pochi nomi possono accelerare una convergenza parlamentare tra forze eterogenee più di Mario Draghi.
Un governo Draghi difficilmente potrebbe nascere senza che il suo inquilino accetti una formula diversa da quella di Carlo Azeglio Ciampi: nomina a Palazzo Chigi con vista elezione al Quirinale. Draghi è ritenuto esser l’unica figura con lo standing e la preparazione necessaria a governare la gestione dei fondi del Recovery dal cui successo, soprattutto in termini d’immagine, dipende una volta di più la credibilità dell’Eurozona. E in un certo senso una tregua incentrata sul suo nome tra i partiti permetterebbe di raffreddare le tensioni ed evitare a tutte le formazioni il rischio più grande: trovarsi al governo in una fase di acuta volatilità finanziaria, di attacchi speculativi e di dissesto economico o, peggio, trovarsi a governare sulle macerie negli anni a venire. Per questo, ad esempio, Giancarlo Giorgetti, uomo che ben conosce Draghi e ha fiuto per i nuovi venti della politica internazionale, sta spingendo affinché Matteo Salvini riposizioni la Lega a favore dell’ipotesi Draghi e cerchi sponde in altre formazioni, Italia Viva in primis, per concretizzarla.
Draghi, inoltre, non è certamente il Monti del 2011. Possiamo immaginare un Draghi sponsorizzato dai poteri internazionali che vedono con sempre più insofferenza Conte (da non sottovalutare anche i nuovi Usa di Joe Biden), meno un Draghi intento a subire pressioni per un’agenda simile a quella “lacrime e sangue” del governo tecnico del 2011-2013. L’operazione resta comunque complessa per i paragoni con quel passato così doloroso per il nostro Paese. Che però, al contempo, tra difficoltà nel ritorno a elezioni e progressivo sfaldamento del governo Conte, vede poche alternative istituzionali a un “governissimo” in caso di schianto dei giallorossi. Se già Conte è stato, a suo modo, una manifestazione dell’incapacità di molti partiti di produrre una classe dirigente all’altezza dei ruoli di governi, la chiamata di Draghi rappresenterebbe la certificazione della necessità di un profondo cambiamento delle classi dirigenti politiche. In nome della volontà di evitare il commissariamento del Paese per il dissesto economico, esse commissionerebbero se stesse chiamando l’italiano più spesso rappresentato come simbolo del potere, ma esterno alla politica ordinaria, per guidare il Paese in fase di emergenza. Con conseguenze imponderabili per il loro futuro.
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