Cosa resterà delle intercettazioni? E degli sms? Cosa resterà delle congetture sui festini, sui gusti sessuali, sul flacone di “droga dello stupro”? E delle fotografie rubate dall’app di incontri per omosessuali? Nulla, almeno giuridicamente parlando. Perché il fango che sul finire dello scorso settembre (guarda un po’ a ridosso delle elezioni) è stato gettato addosso a Luca Morisi, al tempo deus ex machina dei social di Matteo Salvini, resta tutto quanto. Il fango non va via, non si lava con una semplice archiviazione. Esattamente come restano gli articoli e gli attacchi violentissimi contro lui e la Lega.
Che i pm volessero archiviare era nell’aria. Ne avevamo già scritto l’8 ottobre. L’indiscrezione era trapelata a urne chiuse, quando cioè gli italiani erano ormai andati a votare e il caso del festino con i due gigolò gay si era ormai sgonfiato del tutto. Al tempo il Corriere della Sera aveva bruciato tutti scrivendo che i magistrati avrebbero “sollecitato la chiusura del fascicolo” chiedendone l’archiviazione. E così è stato. Oggi la stessa testata fa sapere che “la Procura di Verona ha già scritto e chiederà nelle prossime ore l’archiviazione dell’inchiesta” su Morisi. “La richiesta di archiviazione è per particolare tenuità del fatto”, ha spiegato al Corsera il procuratore Angela Barbaglio. La parola adesso passerà al gip, ma è difficile pensare che questo possa decidere di non seguire la richiesta del pm che ovviamente coincide in questo caso con quella della difesa.
Tutto archiviato, dunque? Mica tanto. Perché, come dicevamo, il fango resta. Giorni passati a scandagliare la vita privata di Morisi, a sezionare la nottata di bagordi nella villa di Belfiore (Verona), a far uscire sms, chat e mezze dichiarazioni sui giornali, a inseguire (manco fossero due oracoli) i prostituti romeni. A guardare la tempistica di quel blitz giudiziario, subito sbattuto in prima pagina (lo ricordiamo benissimo il titolo di Repubblica: Lega, l’ex guru dei social indagato per droga) viene in mente più di un sospetto. E cioè che l’obiettivo fosse colpire la Lega sotto elezioni. Salvini non l’ha mai detto, ma il dubbio resta. Il festino del 14 agosto, le indagini che escono dalla procura per finire sui giornali il 27 settembre e le amministrative il 3-4 ottobre. Tutto a stretto giro. Che coincidenza. Non c’è che dire.
“Non ho commesso alcun reato ma la vicenda personale che mi riguarda rappresenta una grave caduta come uomo”, aveva scritto Morisi chiedendo scusa per le sue debolezze e suoi errori a Salvini e alla Lega, al padre e ai familiari, al suo amico Andrea Paganella. A tutti, insomma. E adesso chi chiederà scusa a lui per aver fatto uscire materiale che non sarebbe dovuto uscire, per gli articoli violentemente colpevolisti, per le dichiarazioni di fuoco, per le speculazioni. Per archiviare tutta la faccenda la richiesta del gip è solo il primo passo. Ora servirebbe un mea culpa da parte di quei giornali che da sempre celebrano i processi in edicola, senza aspettare che a pronunciarsi sia il giudice.
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