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Nelle ultime ore, la tensione lungo il confine tra Israele e Libano ha raggiunto livelli senza precedenti, con un susseguirsi di raid aerei e attacchi missilistici che hanno provocato morte e distruzione da entrambe le parti. Il conflitto, ormai entrato in una fase di intensificazione, ha visto l’esercito israeliano colpire più di 1.600 obiettivi di Hezbollah in diverse zone del Libano, concentrandosi principalmente nel sud del Paese e nella Valle della Bekaa, area tradizionalmente sotto il controllo dell’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran.
L’ultimo aggiornamento proveniente dall’esercito israeliano (IDF) riporta che centinaia di caccia hanno partecipato alle operazioni, distruggendo postazioni di lancio missilistico, centri di comando e depositi di armi, in quello che Israele ha definito un tentativo di indebolire in modo significativo la capacità militare di Hezbollah. Gli attacchi si sono intensificati nella notte, con le forze aeree israeliane impegnate a colpire bersagli strategici mentre invitavano i civili libanesi a evacuare le zone a rischio. Netanyahu ha rivolto un messaggio chiaro alla popolazione libanese: “Non permettete a Hezbollah di usare le vostre case come scudi umani. State lontani dalle aree colpite e dalle armi nascoste nelle abitazioni”. Questa dichiarazione riflette la strategia israeliana di prevenire il lancio di missili contro il suo territorio, intensificando le operazioni per colpire le infrastrutture di Hezbollah prima che possano essere utilizzate.
Da parte sua, Hezbollah ha lanciato circa 20 razzi in direzione del nord di Israele nelle prime ore del mattino, colpendo diverse aree, ma senza causare vittime gravi. Le sirene di allarme hanno risuonato in numerose città israeliane, mettendo in allerta la popolazione. I missili, secondo fonti israeliane, sono stati in gran parte intercettati o sono caduti in aree disabitate. Tuttavia, alcuni civili sono rimasti feriti nel caos generato dagli attacchi, mentre cercavano rifugio durante le allerte aeree. Anche un’ambulanza è stata danneggiata, e il personale medico ha dovuto intervenire per soccorrere le persone colpite dalle schegge e dallo shock.
Nel frattempo, a Beirut il bilancio delle vittime continua a salire in maniera drammatica. Le autorità libanesi parlano di 492 morti, tra cui 35 bambini, mentre centinaia di feriti riempiono gli ospedali della capitale e del sud del Paese, in condizioni sempre più critiche. La situazione umanitaria è al limite: il ministero della Salute ha ordinato agli ospedali del sud e dell’est del Libano di sospendere tutti gli interventi non urgenti per far fronte all’ondata di feriti. Il sistema sanitario, già provato da anni di crisi economica e politica, si trova ora sotto enorme pressione, con le risorse sempre più limitate.
La crisi ha assunto anche una forte dimensione internazionale. Gli Stati Uniti hanno annunciato l’invio di nuove truppe in Medio Oriente, in quello che è stato descritto come un gesto di “precauzione” di fronte alla crescente tensione. Circa 40.000 soldati americani sono già dispiegati nella regione, ma la situazione attuale ha spinto il Pentagono a rafforzare ulteriormente la presenza, senza specificare il numero esatto di nuovi militari coinvolti. La presenza di forze statunitensi, con basi in Iraq, Siria e nei Paesi del Golfo, è vista come un tentativo di bilanciare l’influenza iraniana nella regione, soprattutto alla luce del ruolo chiave che Teheran gioca nel sostegno a Hezbollah.
Israele, intanto, ha dichiarato che non ci sono piani immediati per una invasione di terra in Libano, ma non ha escluso l’eventualità qualora Hezbollah continuasse a intensificare gli attacchi. Il portavoce dell’IDF ha chiarito che l’obiettivo attuale è quello di limitare la capacità del gruppo sciita di lanciare missili contro Israele attraverso operazioni aeree mirate. Tuttavia, la possibilità di un’escalation che porti a un’invasione su larga scala resta concreta, con il rischio di un conflitto di lunga durata che potrebbe destabilizzare ulteriormente l’intera regione.
Parallelamente, le dinamiche diplomatiche si fanno sempre più intricate. L’Egitto ha chiesto un intervento urgente delle Nazioni Unite per fermare l’escalation, mentre l’Iraq ha richiesto una riunione straordinaria dei Paesi arabi per discutere della situazione. Anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha dichiarato di essere impegnato nel tentativo di avviare una de-escalation, ma finora i risultati sono scarsi. Il primo ministro iracheno ha descritto l’aggressione israeliana come una “guerra di sterminio”, accusando lo Stato ebraico di voler distruggere i villaggi e le città libanesi.
La situazione sul campo, però, appare fuori controllo. Centinaia di famiglie nel sud del Libano stanno fuggendo dalle zone bombardate, cercando rifugio in aree più sicure o all’estero. Le immagini pubblicate dai media internazionali mostrano lunghe file di auto sulle strade, con intere comunità in fuga. Mentre le sirene continuano a suonare nel nord di Israele, la popolazione civile è in allarme costante.
In questo contesto di caos e distruzione, Hezbollah ha cercato di rassicurare i propri sostenitori, confermando che il comandante Ali Karaki, colpito durante un raid israeliano a Beirut, è ancora vivo e si trova in un luogo sicuro. Inizialmente, si era diffusa la notizia che Karaki fosse stato ucciso durante gli attacchi, ma Hezbollah ha smentito queste informazioni, affermando che il comandante sta bene.
Con gli attacchi che continuano incessantemente e le vite di migliaia di civili in pericolo, il futuro del conflitto sembra incerto. Gli appelli per una tregua si scontrano con la determinazione di Israele a distruggere le infrastrutture di Hezbollah e con la ferma volontà del gruppo sciita di resistere. La comunità internazionale osserva con preoccupazione, mentre la regione si avvicina pericolosamente a una guerra su vasta scala.