Tra la quarantena forzata imposta della Cina ai suoi cittadini e la nonchalance fin qui mostrata dagli Stati Uniti, c’è un ventaglio di strategie intermedie adottate da vari governi per frenare i contagi da nuovo coronavirus. In Europa la situazione è complessa.
Il continente, soprattutto dal punto di vista economico, è sempre stato diviso tra Paesi di Serie A e Paesi di Serie B. Una distinzione del genere avviene anche oggi al tempo del Covid-19. L’Italia sta affrontando l’agente patogeno misterioso a pieno regime da almeno un paio di settimane, dopo una prima fase di lassismo generale. Poco distante da Roma, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito non prendono ancora provvedimenti drastici nella speranza che il virus possa evaporare da solo come neve al sole.
La strategia tedesca
La Germania lascia diffondere il virus e concentra le sue risorse soltanto sui soggetti più vulnerabili, usando una sorta di “protocollo di guerra”. Come se non bastasse, Berlino ha 28mila posti letto in terapia intensiva, molti più dell’Italia, e scommette sull’affievolirsi del coronavirus mano a mano che le persone si immunizzano.
La strategia è senza ombra di dubbio intelligente ma molto rischiosa, perché a livello umano i costi rischiano di essere altissimi. Il problema è che fino a quando anche i Paesi limitrofi all’Italia non decideranno di adottare il “modello italiano” (limitazione degli spostamenti, seppur in modo limitato), l’epidemia difficilmente arresterà il passo, costringendoci a rimanere in quarantena per mesi.
L’obiettivo dell’Europa dovrebbe essere quello di limitare l’avanzata del virus e non sperare nell’immunizzazione della popolazione. Eppure il ministero tedesco della Salute, Jens Spahn, non appariva particolarmente spaventato quanto ha dichiarato che, in assenza di un vaccino in tempo rapidi, il 60-70% della popolazione tedesca sarebbe stato contagiato dal coronavirus. Secondo Spahn, l’80% degli infetti avrebbe infatti superato la malattia senza particolari problemi.
Puntare sull’immunizzazione
Secondo quanto riferito dall’Ansa, l’ipotesi di un contagio su larga scala era stata avanzata anche dal direttore dell’istituto di virologia della Charité, Christian Drosten, il quale, nel corso di un’intervista alla Berliner Zeitung, aveva dichiarato come “probabile che venga infettato tra il 60 e il 70 per cento della popolazione, ma non sappiamo in quale tempo”.
Questa teoria è stata assimilata tanto dal ministro Spahn quanto dalla cancelliera Angela Merkel, che in una riunione interna al gruppo parlamentare Cdu-Csu avrebbe dichiarato le medesime parole. Spahn ha ribadito che l’obiettivo tedesco è quello di mantenere stabile il sistema sanitario e la vita sociale, rallentando allo stesso tempo la curva del contagio. Due aspetti difficilmente complementari.
Se fossero confermati i numeri “60-70%,” vorrebbe dire che il 60-70% della popolazione finirebbe contagiata ma anche immunizzata. Questo sarebbe il prezzo da pagare per salvare l’economia. Sul fronte Regno Unito, invece, tutto tace. Al momento il Paese resta alla finestra, pur ammettendo che i casi aumentano e pur sapendo che saranno destinati ad aumentare ancora. Londra si trova ufficialmente in fase di contenimento dell’infezione e non di rallentamento della diffusione di un agente patogeno già presente.