Immigrati, rivolta della pasta scotta «E al pronto soccorso troppe code»

cibo etnico big beta-2«La rivolta della pasta» scoppia a Reggio Emilia, nella città dei cappelletti e dei tortelli. «Cibo qui no buono». L’italiano maccheronico – perché anche di maccheroni si tratta – è quello di una cinquantina dei 760 migranti di ben 16 nazionalità diverse ospitati nelle strutture alberghiere della provincia che qualche giorno fa hanno bussato alla porta della Questura per lamentarsi della qualità dei pasti. Qualcuno addirittura con una vaschetta contenente un pugno di riso come prova.
A giudare la protesta è stata soprattutto la minoranza pachistana, la più scontenta. Richiedenti asilo seguiti dalla Dimora d’Abramo, cooperativa sociale che si occupa del loro percorso di integrazione, che ha una convenzione per pranzi e cene con Il Locomotore, punto ristoro in zona stazione dove da oltre trent’anni mangiano anche operai e ferrovieri. Questi ultimi sono soddisfatti, le recensioni su Trip Advisor positive, ma negative per i profughi. «La pasta è troppo scotta, il riso è pieno d’acqua. Qui non si mangia bene e spesso dobbiamo andare all’ospedale perché abbiamo mal di pancia…». I problemi gastrici tra i migranti sono consueti perché abituati ad un regime alimentare completamente diverso. «Il menu del ristorante è vario e rispetta il loro credo religioso. Difficile accontentare tutti, ma stiamo parlando con uno chef che conosce bene i cibi pachistani e africani in modo da poter proporre una volta a settimana un piatto tipico», dice uno dei titolari, Paolo Masetti. Ma la «rivolta dei maccheroni» è stato anche un pretesto per chiedere al questore di velocizzare l’assegnazione di appartamenti e per altre lamentele: «Quando andiamo al pronto soccorso, per visitarci dobbiamo aspettare ore e ore…».
I mal di pancia però non sono solo tra i migranti, ma anche nella politica. Se per il leader della Lega Nord, Matteo Salvini il boccone è troppo invitante («Se veramente scappano dalle guerre, il loro problema non può essere il menu. Rispediamoli a casa con il riso cotto a puntino. Presenteremo un’interrogazione in Regione e Parlamento»), il Pd reggiano – che sul tema dei migranti è attento a mantenere la linea dell’accoglienza – si è spaccato a sorpresa. Miccia accesa da Giacomo Bertani, membro della segreteria provinciale e assessore nelcomune matildico di Quattro Castella, con un post colorito: «Diamogli un sonoro calcio nel c…». Seguito poi dalle scuse per i toni, ma non sulla sostanza («Non dobbiamo diventare il partito del buonismo»), dopo le polemiche dei compagni di partito. «La terminologia usata non ha nulla a che vedere con la cultura democratica di questa terra», ha risposto a muso duro l’assessore di Reggio, Mirko Tutino. Da qui si sono create due fazioni di pensiero. «Non si sputa nei piatti gratis offerti da chi ci aiuta. Se non va bene la pasta, tornino al loro paese», ha detto Jean-Jacques, un ivoriano che si sfama alla Mensa del Vescovo. Ma Reggio non è il primo caso. A dicembre scorso, un gruppo di pachistani è sceso in piazza a Macerata per la cattiva qualità del cibo. A Forlì, nei primi di gennaio, nove profughi si lamentarono perché preferivano i pasti precotti e non la spesa – tra cui prodotti surgelati – da prepararsi in proprio. A Cesenatico invece alcuni non digerivano gli spaghetti e ci fu pure una zuffa tra i migranti, perché chi dissentiva dalle rimostranze aveva paura di ripercussioni, sedata dai carabinieri. Soluzione? Menu cambiato e possibilità ai profughi di cucinare. Infine, il 4 marzo diciotto profughi hanno battuto sul portone della questura di Modena chiedendo più camere e cibo. Il Resto del Carlino