Impossibile capire l’America senza i suoi cowboy

Il western non è solo pistole, fucili e duelli fuori del saloon, è qualcosa di più. Lo sa bene Wilfried Leichert, matematico e sinologo tedesco che ha trascorso gran parte della sua vita di economista all’estero in aziende multinazionali e che, attualmente, è uno dei più grandi studiosi di questo genere. È stato lui il relatore al Teatro Manzoni di Roma della conferenza-incontro Il WESTERN E LA NASCITA DEL MITO AMERICANO.

Ora lo stretto rapporto tra cultura western e politica Usa è oggetto, di volta in volta, di encomi o critiche nei commenti di esperti di geopolitica. Per alcuni politologi l’America è come uno sceriffo buono pronto a far rispettare i diritti in tutto il mondo, per altri, al contrario, è un uomo armato di pistola pronto ad imporre una cultura, quella del capitalismo, in maniera violenta e niente affatto democratica. Wilfried Leichert così, non a caso, con decine di spezzoni ha raccontato l’influenza del western nella cultura e nel quadro politico americano di oggi, analizzando poi gli elementi costitutivi del mito americano così come sono interpretati in questo genere cinematografico. Al western classico, secondo lo studioso, non solo il compito di raccontare la ‘vittoria dell’Occidente’, ma anche di delineare le questioni di genere, il razzismo e i fondamenti della politica americana. “Parlerò del mito americano così come è espresso nei film western, il ‘cinema americano per eccellenza’, come lo definì il critico francese André Bazin – ha detto Leichert a Roma -. Il western ha formato l’identità nazionale americana come nessun’altra opera d’arte, è divenuto parte del dna culturale e spirituale dell’America. Nessuno dovrebbe ridurre l’America ai suoi cowboy, tuttavia nessuno può comprenderla senza di loro. Il western è la tela sulla quale le ideologie dell’America sono state disegnate e poi discusse, divulgate e anche scartate”.

E ancora lo studioso: “Questo genere irrompe regolarmente nella realtà. I politici americani spesso usano immagini e un linguaggio da western, nella comunicazione per metafore. Sentimenti che rievocano legge e ordine, pionieri avventurosi, opportunità e risorse illimitate, sono immediatamente compresi da tutti gli americani. Kennedy, nel suo discorso inaugurale nel 1962, parlò di nuove frontiere, usando questa immagine per incoraggiare gli americani ad accettare nuove sfide. E sull’attacco terroristico dell’11 settembre, George Bush affermava che Osama Bin Laden sarebbe stato preso ‘vivo o morto’. D’altronde Noriega, Saddam Hussein e Osama bin Laden sono stati tutti collegati a Geronimo, capo degli Apache, considerati i più barbari e crudeli fra tutti gli indiani che hanno combattuto contro l’uomo bianco. E proprio ‘Geronimo’ si chiamava l’operazione per catturare Osama bin Laden”.

A sostegno di questa tesi Leichert si è avvalso delle immagini, dai grandi classici del passato come ‘Mezzogiorno di Fuoco’, ‘Il Gigante’, ‘Duello al sole’, ‘Il piccolo grande uomo’, ‘La magnifica preda’, ‘Ombre rosse’, ‘Sentieri Selvaggi’, ‘L’uomo che uccise Liberty Valance’, ‘Alba fatale’, ‘Gli spietati’, fino ai più recenti ‘Balla coi lupi’, ‘Yellowstone’, ‘Brokeback Mountain’, solo per citare alcuni. Infine una sintesi del western come pura dialettica della violenza sta tutta nella frase che Sergio Leone fa dire a Clint Eastwood in ‘Per un pugno di dollari’ nel 1964: “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto”.


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