Incendi, scioperi della fame, risse, richiesta di psicofarmaci, fughe di massa. Con la polizia che interviene ma si trova a operare con scarsi organici nelle difficili condizioni in cui versano i centri di permanenza per i rimpatri.
Un timore giustificato dal fatto che alla viglia dell’apertura di questi centri ai sindaci e alle regioni erano state dispensate rassicurazioni. Era stato garantito che non si sarebbero ripetute le criticità conosciute con i Cie. Invece la cronaca di questi mesi evidenzia come le stesse forze dell’ordine che si alternano nella vigilanza non siano spesso sufficienti. A Brindisi un mese fa, un’altra rissa. Sette migranti (due algerini, un marocchino e quattro tunisini) erano stati fermati con l’accusa di tentato di omicidio di un 39enne albanese, aggredito proprio nel centro di permanenza e di rimpatrio di Restinco. A Bari il sindacato di polizia Coisp ha denunciato che «a fronte di un ingente numero di ospiti, la media è di circa 90, le forze destinate alla vigilanza non bastano a garantire l’incolumità degli ospiti e degli addetti ai lavori, in particolare nei turni delicati come quelli notturni, tra scioperi della fame e richieste di psicofarmaci». Già, la notte. In quella in cui sono fuggiti i migranti da Potenza, c’erano 12 agenti per un centinaio di persone. I turni diurni invece sono composti da un minimo di sei.
Uno scenario che rallenta l’attuazione del piano Minniti, che prevedeva un centro per regione. Perché al di là degli immobili, molti ancora da individuare o da ristrutturare, c’è la paura dei territori. È anche per questo che mercoledì il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, Pd, ha scritto a Minniti chiedendo che l’apertura del centro in città sia condizionata a un aumento del presidio di polizia. A Firenze, sulla struttura si gioca un braccio di ferro tra Pd e Leu, ovvero tra il sindaco Dario Nardella, che vuole il centro «perché gli irregolari vanno rimpatriati», e il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che invece non ne vuole sapere. Il Giornale.it