In questi giorni il mondo intero sembra ostaggio del coronavirus, i luoghi sono deserti, i mezzi pubblici pure. Uno strano fenomeno di cui abbiamo discusso con la direttrice dell’istituto Ramazzini di Bologna, la dottoressa Fiorella Belpoggi che abbiamo raggiunto mentre era in viaggio verso Bolzano in un treno solitamente pieno e oggi semideserto.
Dottoressa, da scienziato come giudica le misure che sono state prese per evitare il diffondersi del contagio da coronavirus?
“Sono misure in certo senso paradossali proprio a partire da una considerazione sui numeri. In Italia ad esempio muoiono 500 persone al giorno di tumore e di questi nessuno parla. Si tratta di 150mila decessi all’anno e la metà dei tumori sono riconducibili allo stile di vita, all’inquinamento ambientale, alle cause esterne, penso al fumo, all’obesità, all’abitudine all’alcool alle quali si aggiungono gli agenti inquinanti che si trovano nel cibo, nell’aria, nell’acqua. Ne consegue che se applicassimo nelle politiche di salute e ambiente, non dico le stesse precauzioni, ma precauzioni molto molto più blande di quelle prese per il coronavirus, potremmo risparmiare almeno il 50% di queste morti. Fino al 2004 l’istituto Ramazzini ha avuto il registro dei tumori e la possibilità di confrontare la mortalità in città come Bologna con città non industrializzate. Negli anni Novanta scegliemmo di confrontare Bologna e provincia con San Giovanni Rotondo che aveva una sola industria, quella legata a Padre Pio che non inquina. Dal confronto tra Bologna e provincia con quell’area abbiamo visto che in quegli anni mentre da noi la mortalità per cancro era nei maschi al 33%, là era al 20% vi erano cioè ben 13 punti in meno. Ciò grazie – in quegli anni – ad una vita sana, all’ambiente agricolo, alla vocazione del territorio al turismo”.
Sono test che è possibile ripetere anche oggi?
“Oggi una delle difficoltà è non avere più i gruppi di controllo. Prenda la telefonia mobile, non è possibile fare un confronto tra una popolazione esposta e una popolazione che non lo è”.
Trova dunque paradossali le misure prese per contrastare il coronavirus?
“Non voglio fare polemica anche perchè credo sia assolutamente urgente uscire da questa situazione che in termini pratici sta mettendo l’economia in ginocchio, mi riferisco soprattutto al turismo, il treno su cui viaggio oggi è insolitamente quasi vuoto. Più che chiudere le scuole e bloccare tutto sarebbe importante fare in modo che le persone diventino consapevoli che certi comportamenti come lavare spesso le mani o non starnutire in faccia agli altri rientrano nelle normali accortezze. Lo si deve fare anche con una influenza stagionale, credo che questo virus sia causa di una infezione anche di forte entità che può diventare una pericolosa polmonite, molto esagerato mi sembra però l’allarme soprattutto da parte dei media. Io stessa ero passata da Codogno, il datore di lavoro mi ha chiesto di rimanere a casa due settimane e io non ho mai avuto alcun sintomo. C’è un eccesso di precauzione, sarebbe meglio insegnare alla gente di usare delle semplici accortezze. Le mascherine ad esempio servono alle persone infette per non infettare gli altri, non servono a non infettarsi”.
C’è una lezione che si potrebbe trarre?
“Ci si dovrebbe rendere conto che la prevenzione e la precauzione sono principi che andrebbero applicati sempre, non solo durante le emergenze. Questo coronavirus ha una storia strana, pur non essendo virologa, lei sa che mi occupo di cancro, mi sembra ci siano aspetti non chiari, senza pensare a complotti ai quali non credo, se è veramente una influenza severa le misure sembrano eccessive. Io comunque sono tranquilla, prendo le precauzioni necessarie e sto viaggiando su un mezzo pubblico”.