
Una stanza tutta bianca, una parete e una porta bianca, quasi un luogo, come una pagina, pronto per accogliere una scrittura, che è quella cui dà vita Isabella Ragonese in ”Da Lontano – Chiusa sul rimpianto”, scritto e diretto da Lucia Calamaro per e con lei, a sottolineare una comune sensibilità, una complicità nel mettere in scena un testo tanto intimo, doloroso, tragicomico, leggero e poetico, con la partecipazione anche di Emilia Verginelli. Al Teatro India sino a domenica, da non perdere. Una donna quarantenne, divenuta psicoterapeuta, in quello spazio bianco, spazio mentale, si trova a rivivere il rapporto con la propria madre, che si trova dall’altra parte del muro, della porta, spinta dal rammarico e il senso di colpa, specie per una telefonata cui non rispose, per non aver saputo lenire la fragilità e sofferenza della madre di cui non si era resa conto a suo tempo, la quale da parte sua non sapeva affrontare, non reggeva il suo ruolo di genitore. Calamaro, come sempre mostra la sua felicità di scrittura, il suo saper lavorare sulle parole, la lingua, le frasi sino a far sì che tutto abbia una sorprendente naturalezza e questa volta, più di altre, nel suo gioco di indagare questo rapporto nei particolari, costruisce un monologo-dialogo che nella propria normalità finisce per mostrare una sorta di doppio fondo, una verità in cui riconoscersi, direi anche a prescindere dal sesso, pur avendo il lavoro molto di femminile con i suoi paradossi nevrotici e scarti di senso. E i ricordi, le autoanalisi, le preoccupazioni e gli accudimenti reciproci (la madre le chiede se ha mangiato e le porta un supplì – Lei le chiede come stia e cosa possa fare e le porta medicinali), le piccole provocazioni reciproche, o trasalimenti affettivi che, diciamolo subito, Ragonese rende vivi, sofferti, tristi, ma anche sempre con quel filo di paradossale ironia che la rende poetica e naturalmente vera, sono il moto di un’azione che riserva anche piccoli veri colpi di scena con l’apporto incisivo della Verginelli, ma è essenzialmente interiore. Ciò che la donna non riuscì a fare da ragazza, ora, in questa sua ricostruzione, grazie anche alla sua professione, le diventa possibile. E’ quel col tempo, costruire una comunicazione che non ci fu, anche se ora è essenzialmente con se stessa, si rivela utile per fare i conti e forse superare quel dolore che evidentemente si è sempre portata dentro. E il suo monologare si scioglie anche in alcuni momenti che sono un po’ il segno della scrittura della Calamaro, come, per fare un esempio, il discorso sulle mani e il loro sostenere e carezzare, o quello bello, finale sulla finestra (costruita dalla madre) da cui esce quel che altrimenti non ci rende liberi. La scena è firmata da Katia Titolo, e su quelle pareti bianche a un certo punto si proietta l’invisibile, ciò che è oltre, mentre le luci sono di Gianni Staropoli. Gli applausi, alla fine, sono per Ragonese, ma chiamano anche ovviamente Verginelli e infine Calamaro.
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