Novembre deludente per la produzione industriale italiana, che non fa eccezione nella zona euro in una chiusura d’anno che rischia di essere più debole delle attese, per effetto della frenata delle economie emergenti, Cina in testa.
Secondo i numeri diffusi stamane di Istat, la produzione é calata di 0,5% su mese dopo l’incremento di pari entità registrato ad ottobre. Su base annua la produzione italiana ha frenato la propria crescita a 0,9% da 3% segnato ad ottobre.
La mediana delle attese degli economisti interpellati da Reuters in un sondaggio prospettava una crescita di 0,2% su base mensile e di 2,5% su base annua. Positive erano anche le indicazioni delle indagini qualitative sui direttori acquisti.
I dati odierni ponegono rischi al ribasso sulla stima governativa di crescita del Pil nel 2015, già limata da Matteo Renzi a +0,8% da +0,9% indicato nel Documento di economia e finanza, e inducono a guardare con una certa prudenza al contributo che l’industria italiana potrà offrire nel 2016 mentre abbondano gli elementi di incertezza, soprattutto sul fronte internazionale.
“Le deludenti letture della produzione di Francia e Germania, oltre che quella della zona euro, avevano anticipato una sorpresa negativa anche per l’Italia”, sintetizza Loredana Federico di UniCredit.
Nello stesso mese la produzione industriale tedesca è calata dello 0,3% su mese (+0,5% le attese) e quella francese di 0,9% (-0,4% la stima). Nell’intera zona euro la flessione della produzione è stata dello 0,7%, secondo i dati diffusi ieri da Eurostat. Per quanto riguarda l’Italia, il calo ha coinvolto tutti i raggruppamenti, dai beni di consumo all’energia.
“Ci aspettavamo che il quarto trimestre dell’anno non fosse brillante”, commenta Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, intervistato da Affaritaliani.it.
In effetti, il centro studi di Viale dell’Astronomia aveva prospettato una flessione di 0,1%, prevedendo una prosecuzione del trend negativo a dicembre. “Rimango ottimista e positivo su quest’anno, però ci sono tante incertezze e non possiamo certo nascondercelo”, chiosa Squinzi.
La Stampa