La battaglia finale nella città fantasma “I russi vogliono ammazzarci tutti”

Kiev. Il lugubre ululato della sirena dell’allarme aereo, come nella seconda guerra mondiale, rimbomba in piazza Maidan deserta e fa paura. Poco dopo arriva l’esplosione fragorosa, brutta, di un missile da crociera lanciato dalla navi della flotta russa nel mar Nero. Forse l’obiettivo è la centrale elettrica, ma la corrente non va via. L’arrivo in treno dal fronte orientale del Donbass è filato liscio fino a Kiev quando le sirene hanno fatto spegnere tutte le luci. I vagoni procedono a passo d’uomo sul ponte ferroviario, che divide in due la città, per fortuna ancora in piedi. La capitale ucraina è spettrale: tutto chiuso, sprangato, nessuno o pochissimi per strada anche di giorno quando non c’è il coprifuoco. La città piena di vita con i capannelli di ragazzi che ballavano fino a tarda notte nella piazza principale di Maidan è scomparsa nel buio della guerra. L’unico albergo per i giornalisti, perché molti hanno chiuso, è il centralissimo Kozasky, Cosacchi, un nome tutto un programma. La prima cosa che ti indicano è la freccia per il bunker nei sotterranei.

Nella notte i bombardamenti continuano ad intermittenza con sordi boati. Prima dell’alba arriva la sveglia con raffiche incessanti di armi automatiche di una battaglia non molto lontana dal centro.

Il giorno dopo bisogna partire presto perché non ci sono taxi o automobili disponibili. Giubbotto antiproiettile, elmetto pronto, zaino e gambe in spalla. Dal centro commerciale Globus nel sottosuolo di piazza Maidan, ovviamente chiuso, spunta un drappello della Guardia nazionale che ha passato la notte al caldo. Un sergente mi avvolge subito il nastro adesivo da carrozziere attorno al braccio come segno distintivo di «amico» perché temono gli infiltrati russi. Meglio non prendere il viale principale che taglia in due piazza Maidan, oggi dell’Indipendenza. Informazioni riservate parlano di cecchini già appostati. In realtà gli unici ad aver preso posizione sono gli uomini della Guardia nazionale occupando il gigantesco hotel Ucraina, di stampo sovietico, che domina la piazza. La strada a sinistra porta dritta al Parlamento e al palazzo presidenziale. Dopo 500 metri è bloccata da cavalli di frisia, blindati e soldati ucraini con il dito sul grilletto. Se i carri armati russi sfilassero a piazza Maidan l’obiettivo sarebbero proprio i palazzi del potere.

La battaglia della notte precedente si è combattuta davanti alla caserma della 101° brigata. Per arrivarci a piedi è lunga. Alle sirene dell’allarme aereo i passanti sembrano averci già fatto l’abitudine. Però molti sono in fuga con zaini e trolley alla disperata ricerca di un taxi oppure si pigiano tutti assieme in una macchina pur di partire ed i familiari rimasti li salutano piangendo dalla finestra. «Stiamo scappando e ci portiamo dietro anche i gatti – conferma un giovane barbuto con la fidanzata – Dov’è l’Europa che doveva aiutarci e ci ha abbandonato?». La coppia se ne va e lui fa il segno di vittoria sussurrando: «Peace».

All’ultimo posto di blocco raggiunto a piedi, Alexander, 24 anni, studente di ingegneria richiamato in servizio descrive la battaglia: «É stata dura, ma siamo riusciti a fermarli. Sia i tank russi che i camion con le truppe. La contraerea ha colpito un caccia o un drone. Non molliamo, non cederemo di un centimetro». Poco più avanti si sente l’odore della battaglia: un camion incenerito è ancora fumante ed i rottami dello scontro sono dappertutto davanti alla caserma della 101° brigata. Un addetto stampa con l’elmetto, che non concede nulla, neppure il suo nome, ammette che «volevano ucciderci tutti, ma li abbiamo sconfitti e adesso ci prepariamo alla prossima notte».

E si combatte anche di giorno: una sparatoria è scoppiata verso le 11 vicino all’ambasciata italiana praticamente chiusa. Tutti si sono trasferiti nella residenza del capo delegazione, Pierfrancesco Zazo, compresa gran parte dei giornalisti italiani. Un’ora dopo scoppia lo scontro più duro in pieno centro. Un camion ucraino viene crivellato di colpi. Il sangue degli uomini a bordo è ancora sul selciato e sul cassone dietro. «Era un’azione di sabotatori russi che con divise del nostro esercito cercavano di arrivare al centro. Li hanno fermati in tempo» spiega una signora. La cappa di paura e tensione è alimentata dalle voci, vere o presunte, di infiltrati o quinte colonne impegnati in azioni diversive. Oggi vogliono dare la caccia ai sabotatori in tutta Kiev.

Il gigantesco cratere nei piani alti di un condominio fa impressione. Un missile Grad russo, che probabilmente era indirizzato contro l’aeroporto di Borispol ha sventrato il palazzo. L’attacco è scattato alle 8.30, ma ha provocato solo due feriti. Vicino al palazzo, però, c’è una scuola e un centro medico. Il coprifuoco anticipato alle 5 del pomeriggio viene annunciato non dalla sirena, ma dalle campane delle chiese: «Chiunque lo violi sarà considerato un nemico».


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