Secondo il generale Tricarico, gli Usa hanno usato la MOAB per strategia mediatica, più che militare. Un avvertimento per Pyongyang, Isis e Damasco.
“Un atto muscolare, altamente coreografico, amplificato a dismisura dai media, ancora una volta le vere pistole cariche di Donald Trump e dei suoi generali”. Il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, definisce così la super bomba sganciata dal presidente Usa in Afghanistan contro un sistema di tunnel dell’Isis. Un messaggio al mondo: “attenzione perché la potenza militare statunitense è smisurata, e può colpire con una potenza devastante”.
Il messaggio, in questo caso, è duplice. Da un lato Trump vuole mettere in guardia la Corea del Nord, che secondo le informazioni satellitari americane è pronta a un nuovo test atomico. Dall’altro, il presidente intende riaffermare la determinazione degli Usa a sconfiggere lo Stato islamico, dopo le polemiche dei giorni scorsi in seguito al raid americano contro una base siriana come rappresaglia all’attacco chimico nella provincia di Idlib. Un attacco che continua a essere al centro di una guerra d’informazione tra Washington, Mosca e Damasco, con le ultime due che oggi hanno accusato la coalizione a guida Usa di aver bombardato un deposito di armi chimiche in possesso dell’Isis facendo numerose vittime anche tra i civili. Washington nega di aver sferrato un attacco nella zona in questione, nella provincia nord-orientale di Deir Ezzor. E Assad rilancia, definendo l’attacco chimico dello scorso 4 aprile a Khan Sheikhoun “un’invenzione al 100%”.
In questo clima di guerra psicologica, dove sembra vincere chi la spara più grossa, l’utilizzo della ‘madre di tutte le bombe’ vuole essere la prova che la Casa Bianca fa sul serio. Entrata in servizio nel 2003, fu data in servizio alle forze speciali nella guerra in Iraq, ma non fu mai utilizzata. Dal punto di vista concettuale, somiglia al BLU-82 Daisy Cutter, un sistema che veniva utilizzato per sgomberare aree di foresta fittissima durante la guerra del Vietnam e liberare i campi minati in Iraq, per poi diventare un’arma soprattutto psicologica contro le forze militari irachene. L’ordigno, secondo alcuni scenari bellici, potrebbe essere stato pensato per colpire gli impianti nucleari di Teheran nascosti nei fianchi di una montagna o nel sottosuolo. Un discorso che può applicarsi anche agli impianti sotterranei di Pyongyang.
Non a caso l’operazione è stata condotta proprio mentre la tensione con la Corea del Nord è in aumento. Le immagini satellitari scattate il 12 aprile disegnano un quadro chiaro e inquietante: la base dei test nucleari nordcoreani di Punggye-ri, nascosta nelle montagne del nordest, mostra “attività continue” e uno scenario “adatto e pronto” a un’altra detonazione, in tempo magari per il 15 aprile, giorno del 105esimo compleanno del ‘presidente eterno’ Kim Il-sung, nonno dell’attuale leader. L’ultimo aggiornamento apparso su 38 North, sito curato dallo US-Korea Institute di Washington, think tank della Johns Hopkins University, rileva movimenti al portale nord, quello di accesso alle strutture sotterranee dei cinque test finora fatti, tra un piccolo mezzo o un carrello, 11 probabili contenitori imballati di equipaggiamenti o scorte nell’Area amministrativa principale “coperti da teli incerati, una formazione di personale e diversi individui in movimento”, si legge nel rapporto. Insomma, attività compatibili con i preparativi finali della detonazione. E mentre a Seul i militari smorzano gli allarmismi di 38 North non avendo rilevato attività “inconsuete”, ha spiegato il colonnello Roh Jae-cheon, portavoce del Comando di Stato maggiore, a Tokyo invece il premier Shinzo Abe ha detto in parlamento che Pyongyang potrebbe armare i missili con il gas sarin: una ragione in più per ridimensionarne la folle corsa agli armamenti.
Con “l’armada” – la portaerei Uss Carl Vinson e il suo gruppo navale d’attacco – in avvicinamento verso la penisola coreana, il presidente Trump continua a fare pressing su Pechino: “Sono convinto – ha scritto stamattina su Twitter – che la Cina si occuperà adeguatamente della Corea del Nord. Ma se non saranno in grado” di agire, “gli Stati Uniti, con i loro alleati, lo faranno”. E il lancio odierno della super bomba in Afghanistan vuole essere un messaggio chiaro. Non solo per Pyongyang, ma per il mondo intero.
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