La bomba sganciata da Trump in Afghanistan è un messaggio al mondo. “Un atto muscolare e altamente coreografico”

Secondo il generale Tricarico, gli Usa hanno usato la MOAB per strategia mediatica, più che militare. Un avvertimento per Pyongyang, Isis e Damasco.

“Un atto muscolare, altamente coreografico, amplificato a dismisura dai media, ancora una volta le vere pistole cariche di Donald Trump e dei suoi generali”. Il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, definisce così la super bomba sganciata dal presidente Usa in Afghanistan contro un sistema di tunnel dell’Isis. Un messaggio al mondo: “attenzione perché la potenza militare statunitense è smisurata, e può colpire con una potenza devastante”.

“Gli scenari di conflitto attuali hanno escluso l’utilizzo di armi come quella usata oggi in Afghanistan, ma anche di armi più piccole”, spiega il generale ad HuffPost. “Se parliamo di bombe, l’orientamento è verso le small diameter bomb, ordigni miniaturizzati pensati per evitare danni non voluti. Dubito che l’obiettivo colpito oggi in Afghanistan potesse essere centrato solo con una bomba di nove metri di diametro. Sono più portato a credere che si sia trattato, ancora una volta, di un atto muscolare, altamente coreografico”.
Del resto l’annuncio della Casa Bianca, che fa sapere di aver sganciato contro tunnel e grotte dell’Isis in Afghanistan la più grande bomba non nucleare mai usata nella storia, fotografa perfettamente lo stile Trump: sorprendere, mostrare i muscoli, amplificare il più possibile ogni mossa e ogni decisione. Ancora una volta, il presidente americano sceglie il maiuscolo per scrivere un altro pezzo della storia della sua presidenza: MOAB, che in realtà vuol dire massive ordnance air blast, ma è ormai su tutte le pagine dei siti internazionali con il suo soprannome militare, ‘madre di tutte le bombe’.
Un’altra svolta nella politica estera di un presidente che si era presentato come campione dell’isolazionismo, e che ora promette invece di mettere ordine in vari punti del mondo, dalla Siria alla Corea del Nord. La bomba sganciata oggi sulla provincia di Nangahar, nell’Afghanistan orientale, ha un altissimo valore simbolico: si tratta di un ordigno mai utilizzato prima d’ora in combattimento, che pesa quasi 10 tonnellate e ha la forza di distruggere tutto nel raggio di centinaia di metri. Un sistema in grado di sprigionare una potenza devastante, usato per colpire “un sistema di tunnel e grotte che i combattenti dell’Isis utilizzano per muoversi liberamente, in modo da poter colpire più facilmente i militari e i consiglieri americani e le forze afghane nell’area”, ha spiegato il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer.
“Un’altra missione di successo, sono molto orgoglioso dei nostri militari”, ha commentato Trump, che ha detto di aver dato la piena fiducia ai vertici militari che hanno condotto l’operazione.

Il messaggio, in questo caso, è duplice. Da un lato Trump vuole mettere in guardia la Corea del Nord, che secondo le informazioni satellitari americane è pronta a un nuovo test atomico. Dall’altro, il presidente intende riaffermare la determinazione degli Usa a sconfiggere lo Stato islamico, dopo le polemiche dei giorni scorsi in seguito al raid americano contro una base siriana come rappresaglia all’attacco chimico nella provincia di Idlib. Un attacco che continua a essere al centro di una guerra d’informazione tra Washington, Mosca e Damasco, con le ultime due che oggi hanno accusato la coalizione a guida Usa di aver bombardato un deposito di armi chimiche in possesso dell’Isis facendo numerose vittime anche tra i civili. Washington nega di aver sferrato un attacco nella zona in questione, nella provincia nord-orientale di Deir Ezzor. E Assad rilancia, definendo l’attacco chimico dello scorso 4 aprile a Khan Sheikhoun “un’invenzione al 100%”.

In questo clima di guerra psicologica, dove sembra vincere chi la spara più grossa, l’utilizzo della ‘madre di tutte le bombe’ vuole essere la prova che la Casa Bianca fa sul serio. Entrata in servizio nel 2003, fu data in servizio alle forze speciali nella guerra in Iraq, ma non fu mai utilizzata. Dal punto di vista concettuale, somiglia al BLU-82 Daisy Cutter, un sistema che veniva utilizzato per sgomberare aree di foresta fittissima durante la guerra del Vietnam e liberare i campi minati in Iraq, per poi diventare un’arma soprattutto psicologica contro le forze militari irachene. L’ordigno, secondo alcuni scenari bellici, potrebbe essere stato pensato per colpire gli impianti nucleari di Teheran nascosti nei fianchi di una montagna o nel sottosuolo. Un discorso che può applicarsi anche agli impianti sotterranei di Pyongyang.

Non a caso l’operazione è stata condotta proprio mentre la tensione con la Corea del Nord è in aumento. Le immagini satellitari scattate il 12 aprile disegnano un quadro chiaro e inquietante: la base dei test nucleari nordcoreani di Punggye-ri, nascosta nelle montagne del nordest, mostra “attività continue” e uno scenario “adatto e pronto” a un’altra detonazione, in tempo magari per il 15 aprile, giorno del 105esimo compleanno del ‘presidente eterno’ Kim Il-sung, nonno dell’attuale leader. L’ultimo aggiornamento apparso su 38 North, sito curato dallo US-Korea Institute di Washington, think tank della Johns Hopkins University, rileva movimenti al portale nord, quello di accesso alle strutture sotterranee dei cinque test finora fatti, tra un piccolo mezzo o un carrello, 11 probabili contenitori imballati di equipaggiamenti o scorte nell’Area amministrativa principale “coperti da teli incerati, una formazione di personale e diversi individui in movimento”, si legge nel rapporto. Insomma, attività compatibili con i preparativi finali della detonazione. E mentre a Seul i militari smorzano gli allarmismi di 38 North non avendo rilevato attività “inconsuete”, ha spiegato il colonnello Roh Jae-cheon, portavoce del Comando di Stato maggiore, a Tokyo invece il premier Shinzo Abe ha detto in parlamento che Pyongyang potrebbe armare i missili con il gas sarin: una ragione in più per ridimensionarne la folle corsa agli armamenti.

Con “l’armada” – la portaerei Uss Carl Vinson e il suo gruppo navale d’attacco – in avvicinamento verso la penisola coreana, il presidente Trump continua a fare pressing su Pechino: “Sono convinto – ha scritto stamattina su Twitter – che la Cina si occuperà adeguatamente della Corea del Nord. Ma se non saranno in grado” di agire, “gli Stati Uniti, con i loro alleati, lo faranno”. E il lancio odierno della super bomba in Afghanistan vuole essere un messaggio chiaro. Non solo per Pyongyang, ma per il mondo intero.

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