La corsa di Calenda per il Campidoglio scombussola i dem

Le amministrative sono alle porte, e la spina nel fianco per Enrico Letta si chiama Roma. Per il nuovo segretario dem il voto d’autunno sarà il primo banco di prova, ma nella Capitale la situazione è ancora assai ingarbugliata. La candidatura di Roberto Gualtieri non è ancora ufficializzata («Lo vedremo tra breve», dice l’ex ministro dell’Economia), l’ipotesi «donna» (Marianna Madia) è accarezzata da alcuni, altri sperano ancora che Zingaretti alla fine decida di correre. E l’alleanza con i grillini è bloccata attorno al solito problema: la Raggi, che vuole candidarsi a (quasi) tutti i costi. I nervi sono a fior di pelle, e lo si è visto ieri, quando nel Pd è scoppiato il caso Calenda: sia la vice-segretaria Irene Tinagli che il sindaco di Bergamo Giorgio Gori hanno osato esprimere apprezzamento per la candidatura dell’ex ministro, uscito dal Pd per fondare Azione. Entusiasta Gori, più prudente la Tinagli, ma il giudizio di entrambi è positivo: «Vorrei che Calenda fosse il prossimo sindaco di Roma, è un’opportunità che andrebbe raccolta», dice lui. «Credo che Carlo abbia l’energia, la capacità e il metodo per affrontare una sfida del genere», dice lei. Dalla stessa area riformista arriva il sì a Calenda di Emma Bonino, di Italia viva con Scalfarotto, Giachetti e Nobili e di Marco Bentivogli.

Apriti cielo: il Pd romano insorge, attaccando chi ha osato parlar bene di Calenda: «Non siete romani, qui decidiamo noi», tuona lo zingarettiano Miccoli. «Se a Gori piace tanto Calenda lo candidi a Bergamo», bacchetta petulante Monica Cirinnà. L’incidente diplomatico è tale che Irene Tinagli viene costretta a precisare che il suo non era un endorsement: «Il Pd farà la sua proposta, e Letta troverà la sintesi migliore». Il problema è che il Pd romano (controllato dalla Ditta ex Pci) vede Calenda, che pure ha ottimi sondaggi e sfonderebbe nel voto moderato, come fumo negli occhi, e come un ostacolo al sospirato abbraccio con i grillini, che sull’ex ministro hanno messo il veto. Quindi la sua candidatura va cancellata. Come? Con le primarie che, tanto più in tempi di pandemia, si trasformerebbero in un facile giochino per truppe cammellate. Calenda sbotta: «Basta parlare di primarie che non si faranno mai, se il Pd vuol sedersi a parlare di programmi per Roma sono a disposizione, se no facessero quel che vogliono. Io mi sono rotto». Quanto a Enrico Letta, il giudizio dell’ex ministro è agrodolce: «Il suo approccio è voglio bene a tutti, ma ha dei limiti». Dopo Pasqua, ha assicurato il segretario Pd, si deciderà. Intanto Letta prosegue i suoi incontri politici, e ieri ha visto Luigi Di Maio: «forte intesa», sottolinea Gigino (cui non spiace l’idea di scavalcare Conte nell’interlocuzione col Pd) e grandi progetti di alleanze. Con l’incognita Roma.



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